Eric Clapton: “Old sock”. La recensione

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Quando si parla di alcuni artisti, bisogna sempre levarsi prima il cappello e poi dire di loro. Eric “Slowhand” Clapton è uno di questi casi. Soprattutto quando il chitarrista decide di pubblicare un nuovo disco. Anche se dal disco si rimane un pochino delusi.
Il chitarrista inglese ha firmato un contratto con la Surfdog e ha pubblicato il suo ventesimo disco in carriera, chiamandolo affettuosamente “Old sock“. La copertina del disco ci mostra un Clapton rilassato e con una barbetta brizzolata in uno sfondo tropicale (la foto è stata fatta con l’iPhone del musicista quando era in vacanza sull’isola di Antigua, NdR).

Il disco, composto da 12 canzoni, contiene 2 inediti (“Gotta get over” con la presenza di Chaka Khan e “Every little thing“) e dieci canzoni che il chitarrista ha scelto pescando dal repertorio della sua infanzia e della sua giovinezza: Clapton ha spiegato in un’intervista alla BBC che l’idea di questo disco è nata durante una chiacchierata con David Bowie. Non sappiamo come siano collegate le cose, prendiamo la notizia per quello che è.

Il disco, prodotto da Doyle Bramhall II, Justin Stanley e Simon Climie, spazia tra molti generi, come spesso Clapton è solito fare: si parte dal reggae di “Further on down the road” di Taj Mahal (che vede la collaborazione dello stesso artista) e si passa al pop rock di “Angel” di J.J. Cale, con la presenza dello stesso Cale. Il disco prosegue con la musica anni ’50 di Jerome Kern e della sua “The folks who live on the hill” e finalmente vede il primo inedito, “Gotta get over“, in una chiave più rock con la presenza ormai immancabile dei cori.

Eric Clapton – “Old sock” – Artwork

Il disco presenta altre due collaborazioni eccellenti, Paul MacCartney in “All of me” di Seymour Simons e Steve Winwood in “Still got the blues” di Gary Moore e spazia soprattutto nella musica anni ’60 e ’70, ripescando classici di Peter Tosh, Otis Redding e George Gerswhin,  e dà spazio al chitarrista inglese di esprimere tutta la sua bravura sui tempi lenti del blues, del reggae e del soul.

Questo disco è un prodotto perfetto per passare un’oretta in compagnia di buona musica però sembra avere dentro poca “anima“, poche spinte originali, anche nella rilettura dei classici: gli unici episodi che si salvano un poco da questa sufficienza sono il secondo singolo ed il brano con McCartney. Troppo poco per avere di più di un sei stiracchiato. Stiracchiato come immaginiamo sia ora Clapton al sole d’Antigua.

 

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