Dopo 13 lunghi anni di silenzio, l’attesa è ufficialmente finita, gli Epsilon Indi hanno dato alle stampe “Wherein We Are Water”, il nuovo disco che attesta il ritorno di una delle band di riferimento del panorama italiano alternativo e sperimentale. E’ difficile affrontare una recensione del disco rispettando i canoni consueti della musica, in quanto gli Epsilon Indi costruiscono quelli che possono essere definiti percorsi creativi, prima ancora di essere musicali. Prima di affrontare l’analisi di quest’ultimo lavoro, è necessario recuperare i contenuti fondamentali del background della formazione. Dagli inizi degli anni Novanta fino all’inizio degli anni Duemila, gli Epsilon Indi si sono dedicati a spettacoli e concerti in molti teatri prestigiosi d’Italia. La loro musica combacia perfettamente con il mondo delle soundtrack e, proprio le colonne sonore sono un territorio fondamentale per loro. Il mondo degli spettacoli, del teatro, dei concerti sembra essere proprio ciò che rende gli Epsilon Indi una formazione particolare. Gli ultimi dieci anni hanno visto, di nuovo, la formazione protagonista di colonne sonore di film, fra cui “Quando una donna non dorme” di Nino Bizzarri, “Animali che attraversano la strada” di Isabella Sandri e molti altri ancora; documentari, colonne sonore, progetti, spettacoli di danza e teatro che hanno arricchito il background della formazione che può vantare una esperienza di tutto rispetto.
Epsilon Indi – “Wherein We Are Water”: L’analisi del disco
Passiamo quindi ad analizzare “Wherein We Are Water” pubblicato il 3 settembre 2012 da Bitbazar Srl. Come si evince anche dal titolo, il punto focale è l’acqua che non ha forma e per questo si adatta al contenuto. Una libertà che viene dimostrata proprio mediante l’acqua, elemento da sempre fondamentale dell’umanità. Il lavoro scorre liscio, come un sottofondo perfetto per un momento di relax o per uno spettacolo teatrale. Il teatro risorge spesso nelle canzoni della formazione che, si nota avere una grande esperienza a riguardo. I brani che compongono “Wherein We Are Water” non smettono di essere una perfetta colonna sonora. La novità del gruppo, con questo disco, è la scelta dell’inglese, per favorire la scorrevolezza melodica e ritmica che l’album necessitava.
Epsilon Indi – “Wherein We Are Water” – Tracklist:
- Dawn
- La fenice
- Shine
- Clouds and other things
- Just a game
- Rainy day
- Unreal
- Blinking hands
- We were water
- Ocean lullaby
- Blurred soul
- The rainbow’s end
“Wherein We Are Water” è un progetto di Alessandro Romagnoli la voce dei Epsilon Indi, Sergio De Vito al piano, tastiere, campioni, Simone Bertugno al piano e chitarre, Alessandro Bruno alle chitarre, Antonio Leoni al basso e alle chitarre e Giulio Caneponi alla batteria e percussioni.
Nati artisticamente a Roma nel 1987 da una fusione di una compagnia di teatro-danza e un gruppo musicali, essi non si possono definire semplicemente “band” in quanto prima ancora del lavoro musicale in quanto “gruppo” essi sono stati attratti dalla sperimentazione e da una ricerca musicale basata sulle immagini, da qui, probabilmente, il connubio inscindibile con il cinema. La musica come arte o meglio, la musica come sfumatura preponderante di ciò che si può chiamare arte è visibile immediatamente ascoltando gli Epsilon Indi, un prodotto quanto mai particolare in un territorio come quello italiano. Come si può combattere la crisi globale in un territorio come quello artistico? Gli Epsilon Indi sembrano aver voluto rispondere a suon di progetti, quanto mai variegati, proprio al fine di costruirsi una identità ancor più complessa e completa.
Il disco vede in apertura “Dawn“, un brano che si può definire d’atmosfera per poi passare a “La Fenice“, manifesto strumentale del disco. Si passa a “Shine“, uno dei brani più rappresentativi del lavoro, con una musicalità molto carica che si discosta dai due brani precedenti che viravano maggiormente ad una strumentalità orientale, perfetta per il relax e la meditazione. Il quarto brano “Clouds and Other Things“, invece, dimostra un romanticismo sopraffino, contraddistinto da un vistoso pianoforte che rende la canzone la più lenta del disco. A cantare, questa volta, è Alessandro Bruno che mischia la sua voce alle melodie di pianoforte e archi costruiti da Sergio De Vito. Si passa poi a “Just a Game“, dove viene messa in evidenza la ritmica di Giulio Caneponi; il brano successivo “Rainy Day” riprende la musicalità dell’inizio dell’album, con una maggior preponderanza, però, della parte vocale. Un brano che sarebbe perfetto all’interno di uno spettacolo teatrale, materia dove la formazione sguazza a perfezione. “Unreal” cambia decisamente registro donando al disco un viaggio fantasioso e sognante. L’ottavo brano, “Blinking Hands” mette al centro dell’attenzione l’acqua con suoni che la richiamano così come la parte centrale che riporta agli Epsilon Indi del passato; si arriva a “We Were Water“, uno dei brani più rappresentativi del disco, una vera gemma musicale, una ballata romantica che riesce a risultare delicata ma allo stesso tempo incisiva. La musicalità della formazione è così sognante ed eterea che viene spontaneo scollegare il cervello dai pensieri per concentrasi solo su questo flusso di parole e musica. La parte finale del disco si apre con “Ocean Lullaby“, un titolo davvero bello per un pezzo particolare, tormentato, mistico, quasi magico, che sarebbe perfetto per un balletto di danza classica. “Blurred Soul” è la canzone sicuramente più energica dell’intero lavoro che si inserisce quasi in una musicalità pop d’autore. Il brano finale “The Rainbow’s end” richiama sonorità che sono state utilizzate all’interno di tutto il lavoro, chiudendo così perfettamente il cerchio.
“Wherein We Are Water” non è un disco semplice ma, chi ama la musica di questo tipo, ossia strumentale, adatta come colonna sonora, che richiama profondamente al mondo del teatro e a quello del cinema, lo troverà senza ombra di dubbio un piccolo grande gioiello. La sperimentazione in Italia merita sempre un gran sostegno, soprattutto perché da questo punto di vista manca una immensa cultura di base della ricerca, dell’optare verso esperimenti con un risultato non sempre assicurato. Un disco che apre gli orizzonti musicali, che invita ad approfondire maggiormente tutto ciò che si nasconde dietro un album di questo tipo. Ottimo ritorno e un pregevole tentativo di aprire e scoprire territori musicali inesplorati.
Concludiamo con il video “Shine“, il quale è stato premiato dal Comune di Ciampino per la miglior tecnica di montaggio nel concorso videofotografico nazionale “Città di Ciampino – Acqua2o”, giunto alla sua ottava edizione, patrocinato dalla Provincia di Roma e dalla Città di Ciampino nel 2011.
Voto: Dite la vostra!