Elton John: “Wonderful crazy night”. La recensione

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Nella testa di molti, Elton John, anzi Sir Elton Hercules John (nome d’arte di Reginald Kenneth Dwight) rimane indissolubilmente legato a canzoni come “Candle in the wind“, “Your song“, “Rocketman” e “Daniel“. Sembra incredibile pensare che il noto cantante e pianista pop abbia festeggiato da poco i cinquantadue anni di carriera. Ed invece sì, Elton John a 69 anni suonati (e suonati alla grande) decide di ritornare sulle scene musicali con un nuovo disco, “Wonderful crazy night“, pubblicato il 5 febbraio 2016.

Nel corso della carriera John ha venduto ufficialmente oltre 400 milioni di dischi (che ne fanno uno dei cantautori di maggior successo di sempre) ed insieme al fido autore di testi Bernie Taupin forma una delle coppie di compositori più famose e prolifiche nella storia della musica contemporanea che ha solcato i mari del pop, vantando comunque una produzione che spazia dal symphonic rock al glam rock, al pop rock. Il tempo e la vita personale lo hanno cambiato e gli hanno permesso di accantonare alcuni eccessi scegliendo uno stile musicale più sobrio mentre sul piano personale è un personaggio pubblico schierato contro l’omofobia e padre di due bambini insieme al regista canadese David Furnish.

Come dicevamo prima, nella musica si è acquietato da tempo e “Wonderful crazy night” è la naturale conclusione di questo: il disco è anche la chiusura di trilogia, nata con “The union“, disco scritto insieme a Leon Russell, e proseguita con “The diving board“, il tutto sotto la stretta direzione di T Bone Burnett, uno dei più grandi produttori americani. Eppure, rispetto ai due precedenti dischi, più intimisti ma anche più intensi, questo disco sembra il più debole dei tre. E vediamo il perchè.

L’album, composto da dieci canzoni per poco più di quaranta minuti di musica, si apre con la title-track, un brano pop che strizza l’occhio al blues e che ci introduce al nuovo capitolo della saga di Elton John: una canzone pulita, piacevole, misurata, senza sbavature e che è un ottimo sottofondo. Il disco prosegue con “In the Name of You“, pezzo con vaghe reminiscenze anni ’70 e che vede il pianoforte in primo piano, e con “Claw Hammer“, brano in cui si sente particolarmente la chitarra, dall’andamento quasi sinuoso e con un finale molto raffinato dove il piano e i fiati si integrano alla perfezione e richiamano in alcuni momenti un altro brano di Elton John, “The one“.

Cover
Elton John – “Wonderful crazy night” – Cover

Le chitarre ritornano a farla da padrona in “Blue wonderful“, pezzo suonato durante la sua presenza a Sanremo e che rappresenta ancora in pieno la capacità di Elton John di fare emozionare e creare straordinari brani come degne colonne sonore: “I’ve Got 2 Wings” va a pescare direttamente nella tradizione del pop americano che sta a cavallo tra il blues e il soul e ideologicamente raccoglie il testimone dalla canzone precedente, mentre “A Good Heart” ha un impatto più melodrammatico e ragionato e si fa ascoltare.

L’organo apre “Looking up“, canzone diretta dal piano quasi honky-tonk, per la canzone forse più a briglia sciolta di tutto il disco, dove finalmente affiora la natura gigiona di Elton, che sembra troppe volte tenuta a freno in questo album: questo momento di grazia continua con “Guilty Pleasure“, pezzo non eccezionalmente carico a livello di bpm ma più veloce della media del disco. L’album torna ai suoi livelli di intimismo e anzi si carica ulteriormente di introspezione con “Tambourine“, brano dalle chitarre country e dal palmo battuto sulla cassa della chitarra che richiama in qualche modo alcune canzoni di Eric Clapton: il disco si chiude con “The Open Chord“,

Wonderful crazy night”  è stato un album di rivoluzione per Elton John: è tornata la Elton John Band, assente dal 2006, Kim Bullard ha preso il posto di Guy Babylon alle tastiere e Matt Bissonette ha rimpiazzato Bob Birch al basso. Sotto la guida di T Bone Burnett viene fuori un buon disco pop rock dai suoni molto puliti e godibili, perfetto come sottofondo per un pomeriggio tranquillo al sole dentro il proprio giardino godendosi una bella bibita fresca: un album diretto, divertente e senza tante pretese, con alcuni ottimi spunti (“Blue wonderful” su tutti) e un ottimo impianto complessivo. Per chi volesse un album con più piglio, dovrà attendere forse la prossima uscita.

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