Elisa: “L’anima vola”. La recensione

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Cover "L'anima vola" Elisa

Per anni critica e certa parte di pubblico hanno chiesto ad Elisa di incidere un album che fosse totalmente in italiano, le hanno chiesto di abbandonare la lingua inglese con la quale si era presentata ormai più di quindici anni fa quando era ancora una ragazzina, nel tentativo di metterla in chissà quale difficoltà. Ebbene quell’album è arrivato il 15 Ottobre 2013. “L’anima vola” è l’ottavo lavoro discografico della Toffoli e lo si sente fin dalla prima nota, grazie alla maturità ed alla solidità di un suono diventato ormai suo tipico ed inconfondibile, affinatosi e consolidatosi nel tempo. Ma se da un lato troviamo maturità e consapevolezza, dall’altra si percepisce ancora in ogni brano uno spirito, il suo, che affatto è mutato nel corso degli anni. Tecnica e stile si possono migliorare, l’anima è un dono che pochi hanno alla nascita e lei, Elisa, ne ha ricevuta una grandissima.

“L’anima vola” è la prima prova in italiano in quanto album, sebbene negli ultimi anni abbiamo avuto modo di ascoltarla cantare nella nostra lingua con risultati sempre eccellenti. In effetti questo problema (problema per tutti fuorché lei, a dire il vero) Elisa se lo porta dietro da un po’, il commento che molti le riservavano era “Brava, niente da obiettare, ma chissà che effetto farebbe un intero album non in inglese… le canzoni suonerebbero altrettanto belle?”. Mi permetto di rispondere: assolutamente sì.

Cover "L'anima vola" Elisa
Cover “L’anima vola” Elisa

Lo stile di Elisa è inconfondibile, unico, suo personale, in molti hanno tentato di riprodurlo sia a livello vocale che compositivo, ottenendo sempre risultati prossimi al karaoke o alla brutta copiatura. Proprio perché lo stile è così inconfondibile, unico, suo personale, “L’anima vola” si presenta con le medesime qualità e gli stessi punti di forza degli altri album che lo hanno preceduto: eleganza, raffinatezza, forza mai spinta e volgare, carisma, sensibilità.

Non solo autrice (come lo è sempre stata fin dagli esordi), ma qui anche produttrice assieme al compagno Andrea Rigonat, in questo album ha collaborato con nomi imponenti italiani e non. Tiziano Ferro ha scritto per lei il testo di “E scopro cos’è la felicità” (ahinoi, uno dei più deboli e meno coinvolgenti dell’intero album), mentre Giuliano Sangiorgi si è dedicato alle parole di “Ecco che”, chiusura dolce di una tracklist emotivamente forse più forte.

La coppia Elisa-Ligabue si conferma estremamente prolifica grazie ad “A modo tuo”, brano interamente scritto da Luciano, una ninna nanna accompagnata nelle strofe da un dolce carillon, in cui un genitore si lascia a dolci e al contempo dolorose riflessioni sul figlio che sta crescendo. Infine in “L’anima vola” troviamo la versione definitiva di “Ancora qui” con musiche del Maestro Ennio Morricone, già inserita nella colonna sonora di “Django Unchained” di Tarantino: apertura con le prime note della “Per Elisa” di Beethoven, chitarra da “Per un pugno di dollari” e quella voce pura e cristallina che rapisce.

Le restanti tracce, scritte totalmente dalla Toffoli, sono caratterizzate da liriche suggestive, talvolta oniriche e surreali pur riferendosi ad oggetti ed atti del quotidiano, arrangiamenti dal forte sapore brit ed un continuo equilibrio tra sospensioni e riprese, in un gioco tra voce e strumenti che si rincorrono ed intrecciano a creare un unico suono. E’ ciò che si percepisce in particolare nei brani di apertura come “Pagina bianca”, “Un filo di seta negli abissi”, ma anche la title track, che ha svolto alla perfezione il proprio compito di anticipare sonorità ed atmosfere dell’album.

Tra i veri e propri standard toffoliani si inseriscono “Lontano da qui”, “Specchio riflesso” (in cui è da evidenziare il pianoforte nelle strofe) e “Non fa niente ormai”, che fin dall’uso della voce a tonalità molto basse rimanda alla precedente “Qualcosa che non c’è”. Al contrario si distingue nettamente dalle altre tracce “Maledetto labirinto”: inutile negare, leggendo la tracklist prima dell’ascolto, il pensiero è andato spontaneo al 1997 alla storica “Labyrinth”, con la quale ha poco o niente a che vedere, in realtà, a cominciare dalla forte componente elettronica per finire con il giro di chitarra che rimanda a “Beat It” di Michael Jackson.

Giudizio complessivo:

Con “L’anima vola” Elisa non solo pone fine in maniera definitiva alle critiche sulla lingua, ma si riconferma anche uno degli artisti migliori nell’attuale panorama italiano. Mai banale né mai forzata, mette se stessa in ogni nota ed in ogni parola, italiana, turca o swahili che sia, che compone e interpreta. Del mettersi a nudo di fronte alla musica: lei nello scrivere e cantare, noi nell’ascoltare. Quello dell’emozione e del coinvolgimento è l’unico linguaggio che realmente conta.

 

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