Quando si presenta la possibilità di recensire “Now what!?“, il disco di una band come i Deep Purple ad otto anni di distanza dal loro precedente lavoro “Rapture of the dead“, si ha sempre un sottile velo di timore se si sarà capaci di discernere tra gusto personale, aspettative e realtà dei fatti, soprattutto quando hai di fronte un gruppo che ha scritto la storia del rock.
I Deep Purple, dopo decenni di musica suonata e molti anni di silenzio, d’altro canto sapevano bene il rischio che correvano con questo nuovo lavoro. E hanno preso la cosa molto sul serio e con il piglio giusto a mio parere. Molti avevano paura che questo lavoro non avesse la verve e la grinta dei tempi migliori e che potesse essere un lavoro trito e ritrito fatto per racimolare quattrini. Queste persone stiano tranquille a casa ad ascoltare “Child in time” o “Smoke on the water“, se questo le fa stare meglio. Vi assicuro, però, che questo disco ne vale davvero la pena.
Ian Gillian e soci (Steve Morse alla chitarra, Roger Glover al basso, Ian Paice alla batteria e Don Airey alle tastiere) riescono nell’impresa di non sembrare né la loro caricatura né una copia sbiadita dei loro precedenti lavori e non stravolgono nemmeno il proprio sound, rimanendo fedeli al proprio genere musicale che dura ormai da 45 anni, un rock duro nel quale troviamo intermezzi di world music, progressive rock e fusion, suonato con una grinta ed un feeling incredibile.
Certo, ad un primo ascolto, soprattutto dopo le prime note di “A simple song“, una pezzo molto accattivante dal suono molto 70es, che richiama all’inizio il tempo dei primi Dire Straits con quella chitarra così accattivante, qualche dubbio potrebbe venire, ma poi un riff di chitarra di Morse, un distorsore e si parte per la tangente con il progressive e con l’hard rock. Progressive rock che la fa da padrona nel secondo brano, “Weirdistan“, dove l’Hammond di Don Airey domina e dove la voce effettata dà un tocco moderno al tutto.
“Out of land” richiama atmosfere arabeggianti e viene impreziosita da una bellissima parte orchestrale, che troviamo anche nel brano successivo “Hell to pay“, orchestra che però non nascondono chitarra e hammond, sempre presenti. “Body line “, grazie alla sua sessione ritmica, diventa un pezzo molto orecchiabile e quasi blues, grazie anche all’organo, in risalto in questo brano.
In questo lavoro di undici tracce, prodotto lo ricordiamo da quel genio di Bob Ezrin (l’ingegnere dietro i successi di gente come Alice Cooper e Kiss), non poteva mancare un saluto all’amico di sempre Jon Lord. Ed “Above and beyond” è preposta a questo, una canzone di stampo chiaramente prog con influenze folk. “Blood from a stone” dimostra invece come i Deep Purple sappiano fare musica, un blues lento dalle atmosfere doorsiane e dove Gillan può lasciare esprimere la sua voce.
Per giudicare un brano come “Uncommon man” ho un solo aggettivo: epica. Un ensemble di chitarre, organo ed orchestra che si muove ai confini della musica d’atmosfera con una chitarra che apre ricordi e squarci nel buio. Dopo questo incanto un pezzo come “Apres vous“, così hard rock, ne esce quasi sminuito, anche se suonato benissimo.
Il disco si conclude con “All the time in the world” e “Vincent price“: la prima è forse il brano più radiofonico del disco (ma questo non la deve sminuire) mentre la seconda chiude in maniera strana, quasi inquietante, il disco, grazie alle sue atmosfere cupe ed inquietanti, che sembrano uscite pari pari da una colonna sonora di un film gotico.
“Now What!? “, alla fine dell’ascolto, soddisfa ampiamente: il disco dimostra che la hard rock band inglese è ancora ampiamente in fase creativa e che gode di ottima salute musicale. Forse non possiamo collocarlo tra i capolavori che i Deep Purple hanno creato (come “Fireball” o “Machine Head“), ma non è un disco da buttare nella spazzatura, anzi tutt’altro, e sono convinto soddisferà anche i palati più esigenti . Considerando che i DP saranno in Italia dal 21 al 24 Luglio a Milano, Roma e Majano, credo che questi re del rock vadano ascoltati almeno una volta nella vita. E che non abbiano nessuna intenzione di cedere ancora lo scettro.