Sembrerà strano a qualsiasi creatura abitante della Terra, ma l’attesa sembra veramente finita, e “Random Access Memories” è arrivato sano e salvo tra noi comuni mortali, per diffondere ancora una volta la buona novella. Un po’ di assaggi ci erano arrivati, e al di là di tutte le supposizioni, il genere, ma soprattutto l’album, preso nella sua interezza musicale sembra non discostarsi molto da ciò che avevamo pensato sin dagli inizi. Gli androidi hanno pescato a caso nella loro memoria musicale, in quella memoria che li ha ispirati e in quella memoria dove si trovano pezzi di storia della musica di chiara ispirazione sperimentale. Prendere a caso pezzi di un puzzle e farli rivivere a distanza di decenni, prendendo anche pezzi di sé stessi, perché in fondo i Daft Punk hanno scritto un pezzo di storia della musica, è un lavoraccio. Non abbiate paura, i vocoder sono stati riutilizzati, e tutta quella strumentazione così “umana” della quale si è parlato tanto non è stata altro che il mezzo di reincarnazione, il mezzo che ha reso i robot umani, e che in fondo li ha riportati da noi per farci conoscere un lato della musica che probabilmente avevamo sottovalutato. Le trame si fanno più fitte, e quell’immediatezza da dancefloor in realtà è diventata più complessa, ma allo stesso tempo ancor di più facile comprensione.
I tempi sono indubbiamente molto lunghi, ma in fondo non sono infiniti e riescono a regalarci più di un’ora di musica variegata, pensata, complessa ma soprattutto “lavorata”. I Daft Punk hanno condensato più idee, hanno privato di fluidità alcuni passaggi ma hanno arricchito di tanti elementi quella che prima era musica da esaltazione ballerina degli animi. I Daft Punk in Random Access Memories hanno rafforzato la disco music, rendendola così attuale e così sofisticata che in qualsiasi club anni ’70 avrebbero potuto far a meno di lustrini e luccichìi. La condizione necessaria da soddisfare però, puntualmente, quando arriva un album del duo transalpino, è dover porre alcune presenze fisse elettronicamente parlando, così da non perdere l’attenzione riguardo le loro origini. Marchio di fabbrica presente, sperimentazione presente, complessità musicale più che presente, ma cosa c’è dietro la snervante attesa di Random Access Memories? I Daft Punk hanno deciso di fare sul serio, non che prima non fosse così, ma hanno imparato dalla loro giovinezza che in fondo avere in mano una strumentazione e sentirsi “Human After All” non è di certo peccato mortale.
Citando Einstein potremmo dirvi che però tutto è relativo e che sin dagli inizi abbiamo osservato uno spartiacque musicale all’interno dei fedelissimi fan del duo francese, ma realmente che reazioni avrà suscitato tale album? Chi era ancorato all’idea della fantascienza dovrà necessariamente ricredersi, e chi era invece, e lo è ancora, ancorato all’idea che qualsiasi cosa esca dalle mani dei simbolici caschi sia roba buona, in fondo non rimarrà deluso. Attingere dai decenni passati per dare vita a quanto di più d’avanguardia possa esistere è una mossa da audaci, e i Daft Punk ci sono riusciti abbastanza bene. Superata dunque brillantemente la prova di sperimentazione, il french touch dalle uova d’oro si catapulta indietro nel tempo, alla nascita della disco music in contrapposizione con il fenomeno rock, all’arricchimento melodico della musica soul con uno sguardo all’avanguardia synthetica degli anni 80. Gli stupidi teppisti inaugurano la nuova fatica discografica con “Give life back to music“, apertura degna di una percezione strumentale, che ci porta in un clubbing leggero, un po’ robotico e arricchito di qualche virtuosismo da corda. “The Game Of Love” come da rispetto della tradizione ci regala un momento tranquillo ancorato sempre ad una sfumatura più intima della disco music addolcita nei suoi lati più spigolosi. Random Access Memories è anche grande partecipazione e grandi collaborazioni e Giorgio Moroder connazionale famoso per la sua disco dona il suo contributo in “Giorgio by Moroder“, con un incipit di tutto rispetto, con un piccolo excursus riguardo la sua esperienza in musica, paragonabile a quella di qualsiasi altro amante spassionato degli strumenti e della composizione. Una lenta evoluzione rispetto ai primi brani, e una straordinaria apertura al genere rock, totalmente in contrapposizione con il mood disco di fondo di RAM. Due o più temi vengono seguiti per darci una fitta architettura musicale, con una evidente relazione simbiotica tra ritmo e armonia, un’interessante dimensione polifonica della musica, che solo un sapiente come Moroder avrebbe potuto darci in collaborazione con i caschi più famosi della musica.
Non si risparmia la batteria insieme al basso quasi alla fine del brano, il che non può far altro che soddisfare anche gli amanti del genere, tutto condito con una buona dose di archi, alternati all’inconfondibile scratch francese. “Within” esordisce con un vero e proprio strumentale classico, e noi, giunti solo al quarto brano ascoltato ci troviamo già al secondo lento intermezzo di RAM, per darci una parentesi intima e quasi drammaticamente introspettiva. Arriva così un pezzo della scena di New York a portare quella che in realtà indie non sembra essere, con “Instant Crush” viene introdotto il nome di Julian Casablancas,che in realtà sembra abbinarsi alla produzione musicale dei transalpini. La modernità con la scena musicale innovativa viene mescolata lasciando viva l’impronta di sottofondo nonostante il cambio di registro vocale che il frontman degli Strokes sembra aver subito. Giusto compromesso tra disco e indie rock? No, suona più come Tropicana, ma per l’estate sembra andare bene. L’inconfondibile sapienza musicale di Nile Rodgers ci accompagna in tutta la ricerca musicale francese, e pezzi come “Lose Yourself to Dance” e “Get Lucky” sono la dimostrazione che il frontman degli Chic non ne ha mai sbagliato una. Da un soul pop con Pharrell piacevole e immediato ad una collaborazione quasi cinematografica con l’onirica “Touch” e l’esclusiva firma di Paul Williams.
Ci troviamo come proiettati nello spazio e accompagnati da cori celestiali con dei leggeri dropping, quando poi si passa a “Beyond“, la quale sembra continuare sul filrouge da colonna sonora, molto solenne e piena di archi. “Motherboard” è la reincarnazione del desiderio dei Daft Punk di ritornare umani, un funk arricchito da fronzoli, clarinetti, sottofondi impazienti e dissolvenze a momenti. Completamente strumentale ci suggerisce un’appartenenza sentimentalmente terrestre, pienamente promossa tra le attuali avanguardie quasi ambient. I frammenti di Todd Edwards fanno riferimento quasi più ad un tema pop che disco, alternando sapientemente funk e discomusic, in un crescendo di evoluzione melodica, un perfetto mosaico musicale maledettamente complesso. “Doin’ it right” è la perfetta trasposizione della psichedelia di Panda Bear nel french touch elettronico dei Daft Punk, che si dilettano in un madrigale elettronico con l’anima degli Animal Collective. Il ritorno in una dimensione fantastica si ha con “Contact“, perfetta chiusura di scena con un necessario pressoché essenziale sfogo musicale. La seconda parte del pezzo è quasi rock, acerrimo nemico della disco, ma anche uno dei tanti motivi perché lo stesso genere nascesse. Solenne e degna chiusura di un prodotto musicale così ricco da poter richiedere ore e ore di argomentazione, ma che in realtà non fa altro che parlare ad ogni ascolto.
L’articolazione musicale di Random Access Memories è ancorata in profondità all’animo musicale più semplice ed essenziale, e rappresenta quasi il massimo delle possibilità degli androidi musicali. Una qualità epica e una nitida spiegazione melodica che ci fa sentire sollevati e ci porta nei territori liberati dal predominio elettronico. Lontani dalla febbre del sabato sera ci troviamo in una dimensione sofisticata, in una dimensione polifonica della musica che probabilmente non veniva fatto dai tempi di Bach. Esagerati? Non troppo, questo ascolto commentato non si colloca tra chi a prescindere ama la produzione musicale del duo francese, ma vuole rientrare tra quei giudizi positivi che in fondo sente sinceramente di dare ad un album di tutto rispetto, che proviene dall’elettronica e finirà nei più classici dei generi musicali alla portata di tutti, ovviamente sempre con criterio di giudizio.
L’ho ascoltato un paio di volte, il primo giudizio è ampiamente positivo.
L’impressione è che abbiano – forse per la prima volta – potuto fare quello che gli pareva, avendo raggiunto uno status di artisti top che garantisce carta bianca dalla produzione. Hanno quindi esplorato le proprie passioni e il loro background, a tratti discostandosi dal sound dei dischi precedenti (non a caso l’ho definito su Twitter il loro Kid A). Il risultato è un grandissimo album dance nell’accezione più “old” del termine, che si fa ampiamente apprezzare anche da chi (come me) non è un fan della disco d’altri tempi.
Alcune tracce, come Giorgio by Moroder e il singolo Get Lucky, sono davvero notevoli.
In generale concordo con al recensione, forse per me raggiunge anche le 8 stelline su 10 🙂
Il loro Kid A mi pare esagerato 😀
Non lo vedo un capolavoro
sembra piu un disco di moroder ft daft punk…. è noioso.. se voglio una roba cosi mi ascolto dei pezzi anni 70 80 che lo sotterrano quest album… dai daft ci si aspetta altro … si salvano 2 pezzi … invecchiando si sono rincoglioniti… a differenza dei chemical che dopo anni han avuto la forza di tirar fuori un capolavoro come further.. questi hanno ammazzato il loro stile per scimmiottare dei sound morti e sepolti….. 2 stelle su 10….
@roknrol continua ad ascoltare harlem shake che a quanto pare ti si addice.
RANDOM ACCESS MEMORIES é un disco ambizioso che nel panorama attuale fatto di musica elettronica ormai stantia sui soliti bpm rende ancora una volta i Daft Punk pionieri ed avanguardisti di una nuova era per la dance music.
Per quanto riguarda i chemical brothers ho smesso di ascoltarli da quando hanno pubblicato surrender,quello si che era un album pessimo(ad eccezione del brano let forever be)solo i primi 2 album hanno senso e sono completamente belli.
deludente…tutti questi anni di attesa per cosa?dai daft punk mi aspetto tutto un altro livello di musica. Questi brani non sfiorano neanche minimamente i capolavori del passato che non mi stufo mai di riascoltare e riascoltare. Quest’album è noioso e non so neanche come faranno ad utilizzare certi brani per un live set, dato che non hanno ritmo nè energia.
Deludente, mi aspettavo tutt’altro. Solo l’ultima canzone merita, il resto è una noia mortale.