La costellazione de “Le Luci della Centrale Elettrica”

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Cantautori di nuova generazione arricchiscono la costellazione della discografia italiana, e Vasco Brondi de Le Luci della Centrale Elettrica ne è l’esempio vivente. Complessità poetica e melodie tragiche accompagnate da un background cupo e misterioso riescono a rapire il cuore anche dei più restii. Il 31 Maggio Vasco Brondi sarà di scena al Meeting del Mare per proporre sul palco i brani tratti dal suo terzo album “Costellazioni”, accompagnato on stage da Ettore Bianconi e Sebastiano De Gennaro dei Baustelle e da Andrea Faccioli e Daniela Savoldi

Quando decidi di vivere la tua poesia interiore non è facile farti comprendere. Negli anni il tuo progetto musicale ha preso il volo senza architetture interne nascoste né speciali promozioni, è andato tutto come doveva andare con i tempi e i meriti giusti. C’è un ragionamento dietro tutto questo o ti sei lasciato andare naturalmente all’arte com’è giusto che sia?

Il fatto che questo disco e questo progetto sia diventato popolare è significativo del fatto che siano cambiate tutte le logiche. Che sia il mio 4 disco completamente autoprodotto da me e tutti e quattro li ho registrati almeno per metà a casa mia e con i miei migliori amici. Non c’è un euro per il marketing. Nessuno passa queste canzoni per radio e figurarsi in televisione (e non perché io sia snob semplicemente non le passano non corrispondono e non so quali standard che evidentemente nel frattempo sono cambiati). Non sono andato a Sanremo e nella settimana successiva a Sanremo il disco era il disco italiano più venduto di quella settimana. Solo per quella settimana sopra Ligabue e a chi Sanremo l’aveva vinto. Ma anche questa notizia l’abbiamo data solo noi sui social network… Ma non importa, faccio questo lavoro con una gioia sempre maggiore, suoniamo davanti a mille persone ogni sera e ogni sera è una festa assurda e bellissima, dopo i concerti non riesco a dormire per la felicità. Questa è la cosa più importante, non riuscire a dormire. Ho sempre creduto che si possa fare qualcosa di profondo e di popolare alle stesso tempo. Seguire un percorso preciso, seguire se stessi anche sperimentare ma per raggiungere gli altri non per chiudersi in qualche comoda nicchia nella consolatoria posizione del genio incompreso alla prese con una massa che considera demente, non è così. Molto più spesso è il contrario, il demente rischia di essere lui.

Vasco Brondi © Ilaria Magliocchetti Lombi
Vasco Brondi © Ilaria Magliocchetti Lombi

Stiamo assistendo alla nascita di una nuova generazione di cantautori. Tu pensi sia più per una reale esigenza di esprimersi o solo una moda per far ritornare in auge la vecchia e buona maniera di fare poesia in musica?

Per me è un cortocircuito sempre presente da quando a quindici anni suonavo il basso in un gruppo noise o punk o grunge e ascoltavo di nascosto Battiato, De Gregori e De André. Da una parte c’erano i cantautori e dall’altra l’attitudine e i suoni del punk e mi sembrava sempre di stare nel mezzo. Non ci ho mai visto molta differenza a dire il vero. Mi piacevano i gruppi punk che ai concerti distribuivano i testi delle loro canzoni al pubblico come fossero volantini perché poi durante il concerto non si capiva neanche una parola ma loro ci tenevano. La domenica delle salme e Bandiera Bianca perché sono i pezzi più hardcore della storia della musica italiana. Non saprei, a me piace l’idea di fare canzoni che parlano più di storia e geografia che di musica. L’idea di scrivere fototessere di momenti personali e universali. Telegiornali un po’ poetici. In generale le cose che mi interessano e influenzano di più sono quelle che riescono ad essere profonde e popolari allo stesso tempo, quelle per me sono le cose perfette. Non è tanto importante che sia hip-hop o canzone d’autore o canzoni punk che durano un minuto.

Hai avuto molte volte l’occasione di aprire le danze prima di grandi artisti della scena italiana, con Costellazioni ti sei un po’ consacrato all’olimpo di quei gruppi che in Italia portano avanti una filosofia di musica interessante. Come ci si sente a passare dal lato dei piccoli a quello dei grandi?

Ho sempre fatto le due cose contemporaneamente, ho iniziato a suonare da solo davanti a 10 persone e anche in apertura a Moltheni o I tre allegri ragazzi morti o Vinicio Capossela davanti a tantissime persone. Poi ho iniziato a suonare da solo anche davanti a mille persone e sono andato contemporaneamente ad aprire i concerti di Lorenzo Jovanotti o di De Gregori ed è stato bellissimo. È importante confrontarsi anche con un pubblico che non è il tuo, imparare dagli altri musicisti e poi continuare per la propria strada.

Nelle tue parole e negli accordi spesso ci si confronta con una realtà ben poco accogliente e molto dura. Sei la maggior parte delle volte molto tragico, negativo e come tu stesso hai detto ti definisci crepuscolare. Perché decidere di pensarla in questo modo e non avere un atteggiamento positivo? Fa parte del personaggio, della poetica o siamo così disillusi dalla realtà che ci circonda che è difficile venire a galla?

Per questo disco mi è venuta voglia di un’”illogica allegria”, di parlare di futuro adesso che il futuro è una parola con una connotazione quasi negativa. Pensavo a qualcuno che ballava sotto i bombardamenti, che suonava roba allegra durante la guerra. Adesso che ci viene detto e anche gridato che è tutto sbagliato, e in crisi mi sembrava il momento di fare delle canzoni liberatorie, allegre e disperate. Mi è sempre piaciuta questa cosa dei CCCP, dicevano “la situazione è eccellente”. Questi sono i nostri tempi e i nostri posti e sono perfetti, sono il posto giusto da cui partire.

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