Bullet for my Valentine: “Temper temper”. La recensione

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E’ da poco uscito uno dei dischi più attesi del primo trimestre del 2013, il nuovo album dei Bullet for my Valentine, “Temper temper“: la band gallese, attiva dal 1998, è ormai giunta al suo quarto album, e dimostra appieno di meritare al momento un posto nell’olimpo del metalcore e dello scream metal, ma con un distinguo che spiegheremo più in là.

I ragazzi gallesi, guidati da Matthew Tuck, sfornano un album tutto cuore e chitarre, dove per 11 tracce si rincorrono le melodie che li hanno resi famosi senza soluzione di continuità, eppure senza stancare mai l’ascoltatore, grazie alla grande variazione ed alla ricerca accorta della melodia nascosta nel muro di chitarre distorte e di voci urlanti, tra un arpeggio e un altro.

Il disco parte con un bell’urlo che introduce “Breaking point“, un pezzo che potremmo definire classicamente nello stile della band, con le chitarre stoppate e la batteria a dettare sistematicamente il tempo: il disco prosegue con “Truth hurts“, un pezzo molto simile al precedente, e con la title track, dove la band mostra la sua abilità nell’heavy metal.

Bullet for my Valentine – “Temper temper” – Artwork

P.O.W.” è un pezzo dove l’arpeggio di chitarra disegna una bella linea melodica insieme al basso, secondo lo stile che ha reso famosi i BFMV e che ricorda molto un vecchio successo come “Tears don’t fall“. Ricordate bene questo appunto.
Anche il pezzo dopo, “Dirty little secret“, è marchiato con lo stampino secondo lo stile dei Bullet.

Il disco prosegue con altre canzoni che ricalcano lo stile che ha reso famoso questa band (“Leech“, “Dead to the world“, “Riot” e “Saints & Sinners“) fino ad arrivare all’altro brano cardine del disco, almeno secondo me, “Tears don’t fall (part 2)“, che ricorda davvero molto la prima canzone. Segniamo anche questo particolare.
Il disco si conclude con “Livin’ life (on the edge of a knife)“, pezzo pestone e veloce che conclude degnamente a suo modo il disco.

Vi ricordate gli appunti che vi ho detto durante la descrizione del disco? Bene, ecco il motivo per cui questo disco (sempre secondo me) supera a malapena la sufficienza. Si respira un’aria di già sentito che è accentuata dalla scelta del titolo “Tears don’t fall (part 2)“. Alcune canzoni di questo lavoro sanno davvero troppo di già sentito. E per un disco non è mai un bene. Peccato, due o tre canzoni si salvano (la title track, “Breaking point” e la sopracitata “Tears don’t fall (part 2)“), ma tutto questo non basta per alzare la valutazione complessiva del disco. Un’occasione sprecata, secondo me.

Voto:Dite la vostra!

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