Ogni tanto in Italia si respira grazie ad alcuni gruppi di nuovo quell’atmosfera al sapore di musica internazionale che troppo spesso manca in molte produzioni musicali del nostro paese, sia per mancanza di fiducia in alcuni progetti che per convinzione che la lingua italiana mal si sposi con alcuni generi musicali come il blues e il grunge. A dare una ulteriore dimostrazione della fallacità di questa teoria ci vengono in soccorso i Bud Spencer Blues Explosion, gruppo nato nel 2007 e salito alla ribalta del grande pubblico con il Concertone del Primo Maggio (ricevendo anche il Premio SIAE “in virtù della grande energia sprigionata sul palco unita all’originalità e freschezza della proposta artistica“) e da allora in continua ascesa nel gradimento degli appassionati di musica. Dopo il primo album autoprodotto “Happy” targato 2007 e il primo studio album del 2009 dal titolo omonimo, i BSBE, ovvero Adriano Viterbini (chitarra, voce, tastiere) e Cesare Petulicchio (batteria, cori) ci riprovano con questo nuovo disco, “Do it“. E il risultato è lodevole, anche se manca un pizzico di qualcosa per trasformarlo da un ottimo lavoro ad un disco eccezionale. Ma andiamo con ordine. Il disco ci accoglie con le sue 13 tracce (di cui due semplicemente strumentali, come la prima, “Slide“, e la quinta, “sKratch eXplosion“, che vede la partecipazione di Dj Mike) di puro rock misto a rock e blues, marchio di fabbrica dei BSBE e che li avvicina alla tradizione musicale di gruppi come i Primus (ascoltare “Wynona’s Big Brown Beaver” per conferme), come dimostra il primo pezzo, “Più del minimo“, un bel rock duro con almeno 2 cambi di tempo, a dimostrazione della loro versatilità. Neanche il tempo di respirare e parte “Giocattoli“, che reputo uno dei pezzi più riusciti (e probabile singolo), una bella fusione tra rock e blues con anche un testo molto interessante. Il pezzo seguente, “Cerco il tuo soffio“, richiama alla mente i Jon Spencer Blues Explosion (da cui crediamo il gruppo italiano abbia preso nome e ispirazione) rivisti in “salsa italiana” ma è lo stesso molto gradevole da ascoltare: chiude questa prima parte del disco “Rottami“, un bel rock ruvido e serrato con riff di chitarre slide e un ritornello accattivante che entra in testa e non esce più via, a dimostrazione che anche cantando in italiano si possono fare cose egregie. Con il sesto pezzo, “Jesus on the mainline“, si apre un trittico centrale che omaggia in pieno il blues, con le sue melodie dettate dall’ukulele, dalla chitarra slide e dalla grancassa: il trittico ha il suo pezzo centrale nel secondo pezzo strumentale, quella “sKratch eXplosion” di cui vi dicevamo già prima, e poi si chiude con “Dio odia i tristi“, che all’inizio non sembra altro che la versione italiana di “Jesus on the mainline”, ma subito l’atteggiamento più rock e cattivo ed una linea vocale più sotterranea e quasi spettrale ci porta in un mezzo completamente diverso. Da qui in poi l’album prende strade diverse: la canzone successiva, “Come un mare“, è forse la canzone che convince di meno di tutto l’album: parte bene con un bel drumming serrato ma poi non trasmette più di tanto, nonostante anche un bel cambio di ritmo verso la metà del pezzo. Purtroppo lo stesso destino è seguito dal pezzo successivo, “L’onda“, che ha la stessa forma-canzone del pezzo precedente ma con un testo più accattivante che le dà quel mezzo punto in più. Peccato. Da qui in poi il disco si riprende nettamente come con il bel brano “Squarciagola” con una bella sequenza di tempi sospesi e batteria pestata a dovere e con il penultimo pezzo del disco, “Hamburger“, con la voce filtrata e la chitarra elettrica che la fanno da padrona prima delle schitarrate finali che sembrano quasi derivare da un’altra canzone. L’album finisce con il bellissimo blues “Mi addormenterò“, un pezzo in piena tradizione delta blues con il tamburello a dettare i tempi insieme alla grancassa per un pezzo che sa davvero tanto di gran finale. Alla fine il giudizio sul disco è davvero molto positivo, i BSBE hanno confermato quanto di buono fatto vedere in giro in questi due anni in Italia, il disco scorre bene tranne il pezzo centrale un po’ ostico da digerire per chi non ama molto i pezzi strumentali. Rimane però in alcuni momenti la sensazione che si sia voluto andare “sul sicuro”, per farsi conoscere meglio dal grande pubblico, sacrificando la sperimentazione per la solidità di impianto musicale. Ma se è un peccato, è davvero un peccato veniale, perchè, ripetiamo, di dischi così in Italia se ne producono davvero pochi. Voto:Dite la vostra!