“High Hopes” è il diciottesimo album studio pubblicato da Bruce Springsteen disponibile nel mercato discografico dal prossimo 14 Gennaio per l’etichetta Sony Music. Sarà il sodalizio Springsteen/Morello, sarà che le forze abbisognano di essere coadiuvate tra i vari progetti, “High Hopes” sin dal primo ascolto richiama un pò l’atmosfera creato durante la registrazione di “Working on a Dream” (2009). Nessun paragone. Il binomio funziona e si sente senza dimenticare la magica E-Street Band capace di dare quella marcia in più al fuoco delle sei corde di Morello e quell’inconfondibile e tagliente voce di Bruce Frederick.
Materiale d’archivio, cover, tributi: non sono le chiavi di lettura quelle che c’interessano in questa sede ma la capacità del ragazzo nato per correre di farsi padrone della sua musica, quella musica che dopo quarant’anni è ancora capace di unire scie interminabili di fan e, perchè no, dividerli nelle opinioni.
“High Hopes” è stato realizzato durante il “Wrecking Ball Tour”, Bruce Springsteen riempe stadi e arene di tutto il mondo e nel frattempo nasce la necessità di tornare in studio di registrazione con la E-Street Band e Tom Morello: cominciano i lavori. Buttano giù idee. Lui ripesca materiale inedito dal suo archivio, Morello si cimenta in una esilarante versione di “High Hopes” e lì scocca la scintilla. Da quando Elvis si presenta all’Ed Sullivan Show (tra l’altro proprio oggi ricorre l’anniverario del suo 79mo compleanno) la vita di Springsteen cambia e l’artwork di “High Hopes” offre una chiara esemplificazione: il “Doppio Elvis” creato da Andy Warhol nel 1963 e il “Doppio Springsteen” della copertina di “High Hopes”, senza null’altro da aggiungere.
Se l’esecuzione di “The Ghost of Tom Joad” eseguita durante la cerimonia per il 25mo anniversario della Rock’n’Roll of Fame ha visto la presenza di Tom Morello, lo stesso Morello ce lo ritroviamo come principale co-autore dell’album “High Hopes”, compreso il brano in questione: i tempi avanzano ma l’essenza è sempre la stessa. Prodromi.
Il discorso è lungo, la strada tortuosa ma il talento è sempre quello. Alla “palla da demolizione” ora Springsteen preferisce “grandi speranze”, la polvere da sparo la sei corde di Morello. Mancano dei pezzi, non ci sono più nè Clarence Clemons nè Danny Federici ma c’è “Dream Baby Dream” a chiudere la tracklist dell’album, ripresa dai newyorkesi Suicide, ma rivisitata dal rocker del New Jersey in una versione sublime. Un present per i fan.
Il folk-rock di “High Hopes” è la catapulta iniziale, quella che manda direttamente all’ascolto di “Heaven’s Wall”: un coro gospel in apertura e la chitarra di Morello danno ritmo e forza all’album , un rock alla Springsteen per renderla in maniera semplicistica. La voce narrante ci dice che il progetto è nato durante la session di registrazione di “Working on a Dream” accantonata poi per darle una forma diversa: la spalla è offerta da “Frankie Fall in Love”, una ballata che racconta di ragazzi sognatori e innamorati, nati per correre insomma.
“Harry’s Place, “The Wall”, “Hunter of Invisible Game”, sono tutti figli di una simile matrice, non è difficile scorgere le sonorità già presentate nell’album “The Rising” (2002) eccezion fatta per “Down in the Hole” che è la risultante tra le sonorità di “The Rising” e “We Shall Overcome: The Seeger Session” (2006). Accattivante, sì, proprio come i testi scritti da Springsteen che fanno sempre la differenza.
Nessun virtuosismo, spazio alla semplicità: la ricerca del suono mai effimera e i racconti dei disadattati che abitano lungo le strade del mondo, una storia per tutti, la storia di tutti. Le “grandi speranze” sono quelle che seguono “la palla da demolizione”. E’ tempo di ricostruire, eliminare l’obsoleto senza perdere la bussola che ci ha guidati fin qui. Signore e Signori, questo è “High Hopes”.