Esistono pochi gruppi in giro come i Bring me the Horizon, band deathcore inglese che riesce a fondere nella sua musica il growl più spinto insieme ad una certa musicalità. La band è al suo quarto disco, “Sempiternal“, il primo uscito con la nuova etichetta RCA Records tranne negli Stati Uniti dove sono esclusiva della storica Epitaph Records.
La formazione, nata nel 2004 e capitanata dal cantante Oliver Sykes (e che vede al suo interno il chitarrista solista Lee Malia, il bassista Matt Kean ed il batterista Matt Nicholls), suona un metal che risente di varie influenze, dal grindcore al death metal passando per lo screamo, e nei suoi quattro lavori precedenti (tre album più un extended play) ha spostato lentamente il suo asse musicale risentendo dell’influenza metalcore e post-hardcore di gruppi musicali americani.
“Sempiternal” segue di tre anni l’uscita del precedente disco “There Is a Hell, Believe Me I’ve Seen It. There Is a Heaven, Let’s Keep It a Secret“. Tre anni in cui la band ha cambiato anche chitarrista, passando da Jona Weinhofen a Lee Malia. Tre anni in cui la band ha maturato quasi una propria coscienza musicale, che li sta portando verso uno stile personale.
L’inizio del disco è il singolo “Can you feel my heart“, canzone che indica precisamente come il disco sarà. Infatti questo lavoro sembra quasi spezzato in due pezzi precisi di una stessa medaglia: da un lato canzoni come “Sleepwalking“, “And the snakes start to sing” e “Seen it all before” che mostrano il lato più melodico della band e dall’altro lato pezzi come “The house of wolves” e “Crooked young” che invece mostrano il lato più scream della band. Il tutto riunito e riannodato alla fine dalla lunghissima “Hospital for souls”, una canzone che sembra quasi racchiudere tutto il disco in sei minuti e quarantasette secondi, un’eternità per un genere musicale come questo.
I BMTH con questo disco mettono un altro tassello nella loro crescita musicale e si aprono leggermente verso il pubblico che non ascolta sempre metalcore o deathcore, grazie a brani che danno maggiore attenzione verso la melodia e la linea vocale. Per il resto è buona musica dura e cattiva che in Italia non so quanto mercato possa avere. Ma sono sempre questioni di scelte. Pur con dei distinguo (i pezzi centrali come “Shadow Moses” e “Empire (Let them sing)”) il disco non è dispiaciuto. Anzi.