Bob Dylan: “Triplicate”. La recensione

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Sulla scia del lavoro di reinterpretazione iniziato con “Shadow in the night” nel 2015 e proseguito l’anno scorso con “Fallen Angels“, il menestrello del folk e fresco Premio Nobel per la letteratura Bob Dylan torna sulle scene musicali con il primo album triplo della sua lunghissima carriera, “Triplicate“, prodotto dalla Columbia.

Disco triplo e lavoro triplo per Dylan, che affronta 30 classici della canzone americana dividendoli per tema; infatti ogni album conterrà 10 canzoni ed avrà un titolo diverso, “Til The Sun Goes Down”, “Devil Dolls” e “Comin’ Home Late”.Triplicate” è il 38esimo disco della carriera di Dylan ed è stato prodotto da Jack Frost ed è stato presentato così dallo stesso cantautore: “Ho trovato queste canzoni come una incredibile fonte di ispirazione che mi ha portato a vivere uno dei momenti più soddisfacenti della mia vita in studio. Ho trovato nuove strade per scoprire e interpretare queste canzoni che sono figlie delle migliori registrazioni che io abbia mai fatto e sia io che la mia band sembra che abbiamo fatto notevoli passi in avanti a vari livelli con questo disco.”

Con gli ultimi sette dischi Dylan ha ottenuto un riconoscimento universale di una sua nuova età dell’oro compositiva e questi ultimi tre album di indagine nei classici della canzone americana gli sono valsi premi e attestati di stima in tutto il mondo. Con “Triplicate” questo discorso si allarga soltanto  e abbraccia un periodo molto vasto della canzone americana, abbracciando quasi quattro decenni di musica statunitense. Per registrarlo, Dylan ha deciso di portare la sua touring band (Stu Kimball alla chitarra ritmica, Donnie Herron alla chitarra elettrica e violino, Charlie Sexton alla chitarra, Tony Garnier al basso e George Receli alla batteria) ai Capitol Studios di Hollywood ed ha scelto “I Could Have Told You” come singolo di lancio.

trip cover 5x5
Bob Dylan – “Triplicate” – Cover

Partiamo dal primo disco, “‘Til The Sun Goes Down“: al suo interno troviamo brani di Charles Strouse e Lee Adams (“Once Upon A Time”), Harold Arlen e Ted Koehler (“Stormy Weather”), Sammy Fain e Lew Brown (“That Old Feeling“) e Guy Wood e Robert Mellin (“My One and Only Love“). Il primo disco è molto riflessivo, tendente al jazz più che al folk, molto lento e quasi compassato e si anima solo con la canzone iniziale “I Guess I’ll Have to Change My Plans” e con quella finale “Trade Winds“. Per il resto è un susseguirsi di classici americani rivisitati in chiave introspettiva e molto intimista.

Il secondo disco, “Devil Dolls“, si apre con il ritmo scanzonato di “Braggin’” (Jimmy Shirl, Robert Marko, Henry Manners) e mostra di essere più ritmato e improntato all’improvvisazione come con “Imagination” (Van Heusen, Johnny Burke)  e “The Best Is Yet To Come” (Cy Coleman e Carolyn Leigh) intramezzando questi brani più vivaci con momenti molto più lenti e ragionati (“How Deep Is The Ocean”, “P.S. I Love You” o la conclusiva “There’s A Flaw In My Flue“). Rispetto al disco precedente qui c’è una svolta più ritmica e alcune canzoni ricordano proprio l’atmosfera delle big bands anni Trenta che imperversavano in America.

Il terzo e ultimo disco, “Comin’ Home Late“, parte più spinto dei due precedenti con “Day In, Day Out” di Rube Bloom e Mercer ma poi si adagia sulla tristezza e sulla malinconia di chi torna a casa tardi (pezzi come “Sentimental Journey” e “Somewhere Along The Way” sono esemplificativi di questo concetto). È un disco molto più cupo dei due precedenti e l’uso molto diffuso dello slide non fa altro che circondare ogni canzone di un’aura di tristezza che non va via da nessun pezzo (come nel caso di “These Foolish Things” e “You Go To My Head“), come se si ricordasse di un amore lontano o di un qualcosa di finito, smarrito, scomparso. Si salva solo parzialmente “Stardust” da questa atmosfera di cupezza che si chiude con la “Why Was I Born?“, canzone composta nel 1930 per il musical “Sweet Adeline”.

Questo nuovo lavoro di Bob Dylan è un disco che non va visto per ogni singolo capitolo ma va visto nel suo complesso. “Triplicate” è un lavoro che va ad indagare in un grosso periodo della musica e della storia americana ed esplora vari capitoli della storia musicale statunitense e non solo, il tutto filtrato dalla cultura e dalla visione musicale di Dylan, maestro in questo. Ne viene fuori un album da ascoltare la sera a casa, con calma, davanti ad una bella tazza di tè e con la compagnia della notte e delle stelle. Un disco a suo modo magico.

Disco 1 – ‘Til The Sun Goes Down 

  • I Guess I’ll Have to Change My Plans
  • The September Of My Dreams
  • I Could Have Told You
  • Once Upon A Time
  • Stormy Weather
  • This Nearly Was Mine
  • That Old Feeling
  • It Gets Lonely Early
  • My One and Only Love
  • Trade Winds

Disco 2 – Devil Dolls

  • Braggin’
  • As Time Goes By
  • Imagination
  • How Deep Is The Ocean
  • P.S. I Love You
  • The Best Is Yet To Come
  • But Beautiful
  • Here’s That Rainy Day
  • Where Is The One
  • There’s A Flaw In My Flue

Disco 3 – Comin’ Home Late

  • Day In, Day Out
  • I Couldn’t Sleep A Wink Last Night
  • Sentimental Journey
  • Somewhere Along The Way
  • When The World Was Young
  • These Foolish Things
  • You Go To My Head
  • Stardust
  • It’s Funny To Everyone But Me
  • Why Was I Born?

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