Maxpicchiatoda3: “Maxpicchiatoda3”. La recensione

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Maxpicchiatoda3 - "Maxpicchiatoda3" - Artwork

Prendi un gruppo dal nome improponibile come Polish Child, prendi un graffitaro anonimo di Genova e un nome altrettanto impensabile come Maxpicchiatoda3, prendi cinque ragazzi per metà genovesi e per metà astigiani (Andrea Virga, Andrea Poggio, Christian Borgogno, Francesca Goria e Veronica Stangoni), un pugno di canzoni energiche quanto basta improntate all’alternative rock italiano che richiama a gruppi come Verdena e Marlene Kuntz ed ottieni i Maxpicchiatoda3, nuovo gruppo della scena alternative rock italiana, che ha dato alle stampe il suo ultimo disco qualche tempo fa.

Il gruppo, prodotto da Green Fog Records, è alla prova del nove con il primo disco “lungo” e abbandona la lingua inglese per esplorare le potenzialità del cantato italiano: il disco si compone di 12 tracce che spaziano in pieno nel campo dell’alternative rock.

Il primo pezzo, “Sean Lightholder“, è un pezzo molto ritmato e dalla base synth molto accentuata che un poco spiazza, visti anche gli altri pezzi del disco, ma resta uno dei pezzi migliori del disco, addirittura un probabile singolo. Il secondo brano, “Passando da dove non si deve“, prende in prestito uno spunto elettronico che ricorda molto alcune sonorità dei Depeche Mode e che viene sviluppato bene, confenzionando una canzone molto gradevole.

Con “Verso il tuo” il disco perde un pochino di mordente, dato che la canzone non sembra colpire particolarmente l’ascoltatore ed il testo non colpisce. Per fortuna subito dopo arriva la splendida “In punta di piedi” con la voce femminile che ben si sposa con la melodia a tratti sintetica a tratti da ninna nanna moderna.

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Contando i lividi” sembra di ascoltare i primi Marlene Kuntz, quelli di “Sonica”, quelli cattivi e senza regole, mentre con “Gin+Roipnol” si rischia di perdersi tra il basso ed il ritornello molto accattivante, in una sorta di overtoure musicale gridata, di vita quotidiana urlata.

Altro gran pezzo è “Scuse inutili“, pezzo molto sentito e personalmente, che contrasta quasi con la musica da coretto di “Yuppismo“, che prende in giro un certo stile di essere e che rimane piacevolmente in testa.

Altro pezzo di denuncia è “Poveri diavoli“, pezzo di cui colpisce soprattutto la parte strumentale finale, molto intensa e che ricorda in alcune sonorità alcuni dei lavori degli ultimi Blur. I due pezzi successivi, “In tunnel” e “Hiding your army“, si fanno preferire per il secondo brano, dal ritmo serrato dettato da un basso allucinato e da una batteria efficace ed efficiente che ben supporta il cantato misto italiano-inglese per un brano che potrebbe essere stato registrato benissimo in America.

Il disco termina con il pezzo “Oh, Sheila“, che si discosta un poco dalla linea del disco per il cantato più orientato verso il parlato e per la linea melodica, dettata dall’arpeggio di chitarra.

Il disco, nonstante un approccio iniziale non proprio “morbido”, ha dimostrato tutto il suo valore nel corso dell’ascolto. Alcuni pezzi come “Sean Lightholder“, “In punta di piedi“, “Gin+Roipnol“, “Yuppismo” e “Hiding your army” sono davvero belli e mostrano un gruppo con giù un certo grado di maturità nonostante sia il primo disco ufficiale. Aspettiamo altre prove di questo gruppo con attenzione, perchè ci chiediamo anche noi “Dimmi mai, moriremo senza dei?

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