Il ritorno di Bobo Rondelli con “L’ora dell’ormai”

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Bobo Rendelli | Foto dal web

Dopo “Per amor del cielo“, Bobo Rondelli, ex leader degli Ottavo Padiglione, storica formazione rock livornese, è tornato con un nuovo disco, “L’ora dell’ormai“, un disco intimo, acustico, d’amore e d’autore. Un lavoro come pochi ce ne sono in Italia. La scelta della chitarra acustica, dettata secondo Rondelli da motivi di tipo pratico (“Il fatto è che gli amplificatori elettrici pesano, si guastano e non ho più voglia di caricarli e scaricarli“) e da motivi di tipo “familiare” (“Avendo per casa due bambini piccoli, mi ero abituato da parecchio a suonare in modo più tranquillo. Sono stato un po’ costretto, ma è andata comunque bene“), ha portato alla creazione di un disco pacato ma dalla vis eccezionale, dove c’è spazio anche per strumenti come il sax e il violino.

bobo rondelli
Bobo Rendelli | Foto dal web
Il nuovo lavoro di Rondelli ha due temi principali, le donne e Livorno, anche se sempre di amore si tratta, visto anche l’omaggio a Giorgio Caproni, grandissimo poeta labronico, omaggio fatto musicando due sue poesie, “A Rina“, cantata per intero, e “Ultima preghiera“, poesia dedicata alla madre del poeta, dove un pezzo della poesia è diventato il ritornello della canzone “L’albero” (“Anima mia, fa’ in fretta. / Ti presto la bicicletta, / ma corri. E con la gente / (ti prego, sii prudente) / non ti fermare a parlare / smettendo di pedalare / Arriverai a Livorno / Vedrai prima di giorno“). Questo continuo sentirsi parte della propria comunità è stato per anni un po’ il successo e il cruccio di Rondelli, spesso limitato in una sorta di gabbia da questa forte appartenenza, che gli ha impedito di diventare famoso quanto doveva anche fuori dalle mura livornesi già ai tempi dell’esperienza con gli Ottavo Padiglione (e a tal proposito vi consiglio di ascoltare la loro canzone “Ho picchiato la testa”). Nel disco è presente anche un pezzo recitato da Franco Loi, una sorta di poeta-guru occidentale, che recita una poesia con il suo accento milanese un po’ naif trasformandola in una sorta di danza, e il pezzo “Livorno Nocturne“, dove si trova una poesia di Dimitri Grechi Espinoza, il suo sassofonista, che viene recitato nel ritornello (“Vista da un cieco, stanotte Livorno è bellissima“). Il pezzo che dà il nome al disco, l’ultimo curiosamente, tratta dell’abbandono, di “quando è l’ora dell’ormai troppo tardi“, ma Rondelli reagisce dalla disperazione con un sonoro “chi se ne frega“, dato che l’amore prima ti fa soffrire e poi ti fa ripartire di nuovo per quel viaggio nel cuore. In un’intervista rilasciata recentemente, Rondelli fa anche una lunga considerazione amara sul mondo musicale italiano: “Quando ho cominciato, c’era più possibilità di suonare musica propria dal vivo. In realtà la musica la fa il pubblico, che dà energia. Per questo la musica va vissuta insieme, perché la musica in solitudine si perde. Dover suonare cover nei bar è un po’ triste e così facendo non si educa più all’ascolto, allo stare insieme. Manca la spontaneità nel fare musica nei posti, anche se poi qualcosa riparte. Riparte sempre. Quello che non mi piace è che si arriva a conoscere un gruppo solo se c’è alle spalle un lavoro di produzione industriale. Una volta si partiva di più dalla propria casetta: io sono partito dalla gente e poi un discografico, quello dei Litfiba, Alberto Pirelli, è venuto a cercarmi perché mi ero fatto notare, anche per delle provocazioni. In generale, però ci sono meno spazi. Ed è strano, perché i ragazzi che suonano sono molto più bravi rispetto a una volta. Forse anche perché c’è più tempo per dedicarsi alla musica, per via della disoccupazione e del fatto che la gente lavora meno. O forse anche perché gli strumenti cinesi costano meno. Una volta ci voleva anche una mesata di lavoro per comprarne uno strumento.

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