Quarant’anni fa moriva Bob Marley, il profeta del reggae

0
860
Bob Marley | © Express Newspapers/Getty Images

Quarant’anni fa, la mattina dell’ 11 maggio 1981, al Cedar of Lebanon Hospital di Miami, si spegneva per un tumore a soli 36 anni Bob Marley, simbolo di una generazione e profeta del reggae.

Bob Marley, al secolo Robert Nesta Marley, anche conosciuto come “Tuff Gong“, come veniva chiamato, era nato a Kingston, nell’isola della Giamaica, e aveva vissuto nelle strade del ghetto di Trenchtown, lui figlio di un padre bianco e di una ragazza nera, vivendo una gioventù di discriminazione per il suo essere un “mezzo sangue” ma trovando nella musica e nel reggae la chiave della sua riscossa, diventando una star di livello internazionale e un leader politico e spirituale per la sua gente e non solo, con il suo messaggio di fratellanza e di pace in chiave reggae, grazie soprattutto alla sua capacità di renderlo un linguaggio universale e comprensibile da tutti

E il tema della lotta contro l’oppressione politica e razziale e l’unificazione dei popoli come unico modo per raggiungere la libertà e l’uguaglianza risuona in tantissime delle sue canzoni, da “I shot the sheriff” a “Get up, stand up”, senza dimenticare successi planetari (e non stiamo esagerando con l’aggettivo) come “No Woman, No Cry“, “Is This Love”, “Natural Mystic”, “One Love”, “Africa Unite” (da cui il gruppo Africa Unite di Bunna e Madaski prenderà ispirazione per il proprio nome), “Catch a Fire”, “Could You Be Loved”, “Three Little Birds” (inno dei tifosi dell’Ajax che nella prossima stagione utilizzerà una terza maglia speciale decorata con i colori della bandiera della Giamaica per la passione sfrenata di Marley per il calcio), “Jammin’ “, “No More Trouble”, “Waiting in Vain”, “Redemption Song” e “Stir It Up”, tutti pezzi suonati con i suoi inseparabili Wailers.

E il suo messaggio politico avrebbe potuto costargli caro nel dicembre del 1976 quando, tre giorni prima di un concerto organizzato dal primo ministro della Giamaica, Micheal Manley, per alleggerire le tensioni tra i gruppi politici in guerra nell’isola, Bob, la moglie Rita e il loro manager Don Taylor subirono un attacco da parte di un gruppo armato composto da ignoti nella residenza di Bob, dove Marley riportò per fortuna solo delle ferite lievi al petto e al braccio che non gli impedirono di esibirsi come da programma. Quando gli fu chiesto perché avesse cantato quella sera egli rispose: “Perché le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo non si concedono un giorno libero… Come potrei farlo io?”

Purtroppo Bob non ha vissuto abbastanza; nel 1977 gli fu diagnosticato un melanoma maligno che cresceva sotto l’unghia dell’alluce e per motivi religiosi (era convinto seguace rastafariano) amputò solo il letto dell’unghia: purtroppo il melanoma non fu curato del tutto e progredì fino al cervello, portandolo nel 1980, dopo 2 concerti al Madison Square Garden di New York, a collassare mentre faceva jogging al Central Park. Poco dopo Marley andò a Monaco, in Germania, per un consulto medico dal dottor Josef Issels, specializzato nel trattamento di malattie in fase terminale, ma il suo cancro, diffusosi al cervello, ai polmoni e al fegato, non si poteva più trattare. Un ulteriore peggioramento si avvertì nel volo di ritorno dalla Germania verso la Giamaica e il volo fu quindi deviato in direzione di Miami, dove Bob venne ricoverato presso il Cedar of Lebanon Hospital, dove morirà la mattina dell’11 maggio 1981.

Il nostro paese ha amato profondamente Marley, la sua musica e il suo messaggio di pace, amore, uguaglianza e libertà, celebrandolo con un concerto a San Siro il 27 giugno 1980 con due spalle d’eccezione come il bluesman romano Roberto Ciotti e il compianto Pino Daniele, concerto che diverrà un evento mitologico, ricordato in una canzone come “Piero e Cinzia” di Antonello Venditti dove si narra la storia di due delle 80mila persone (anche se probabilmente erano di più) presenti allo stadio per ascoltare Marley e la sua musica (numero superato solo dalla sua esibizione in Zimbabwe in occasione dei festeggiamenti per l’indipendenza del Paese). Un amore che siamo sicuri sia vivo ancor oggi.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.