Sono solo canzonette: It takes a fool to remain sane – The Ark

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2000. L’anno del Leone, dice il calendario cinese. L’anno che è iniziato col terrore del Millennium Bug. Quant’è difficile entrare in un nuovo Millennio? È solo un anno che cambia, il salto dal 1999 al 2000, no? Eppure, c’è così tanta confusione. Mica capita tutti i giorni, di entrare in un nuovo millennio. Tutti pensavano che il 2000 sarebbe stato più futuristico, più all’avanguardia, che ci sarebbero stati meno pregiudizi, che si sarebbero fatti molti passi in avanti. Siamo nel 2020, ancora si parla di razzismo, omofobia e violenza sulle donne, il problema dell’inquinamento e del cambiamento climatico è peggiorato. Siamo nel bel mezzo di una pandemia globale, eppure una frase risuona sempre la stessa e sempre valida, in tutto questo caos: ci vuole un pazzo per rimanere sani.

2000. Quell’anno Sanremo lo vinse la Piccola Orchestra Avion Travel di Peppe Servillo, con la suggestiva “Sentimento”, era l’anno del Giubileo e per gli amanti della tecnologia usciva Windows 2000. Mentre in Russia veniva eletto Vladimir Putin – che sta sempre lì – fino alla metà dell’anno l’Italia aveva Massimo D’Alema come Presidente del Consiglio, poi sostituito da Giuliano Amato. Kim Dae Jung vinceva il Nobel per la pace e Schumacher eguagliava il numero di vittore di Ayrton Senna.

Essere adolescenti nel 2000, nell’estate del Festivalbar con Alessia Marcuzzi e Fiorello. Era l’anno dei Lunapop con “Qualcosa di grande” e “It’s my life” di Bon Jovi. Non c’erano più i Litfiba, c’era solo Piero Pelù, col suo fischietto e “Toro Loco”, non c’erano più nemmeno le Spice Girls ma Mel C che cantava “Never be the same again”. Jarabe De Palo con “Depende” e Richard Ashcroft con “Song for the lovers”, i Blink 182 con “What’s my age again?” e i Cranberries con “Just my imagination”. Perfino gli Aqua c’erano, nel 2000. Il sabato pomeriggio, su Rai 2, si guardava Top of the Pops. Al cinema c’era “Requiem for a dream”, con Jared Leto che da allora non è cambiato nemmeno un po’. C’erano “Malena”, “Il Grinch” e “Il Gladiatore”. Poi c’era un film che descriveva benissimo la condizione e la follia di questa modernità sempre più veloce, anche se era ambientato negli anni Ottanta. Rendeva bene l’idea, nella confusione del nuovo Millennio, l’insopportabile yuppie Christian Bale nei panni di Patrick Bateman in “American Psycho”. E ancora una volta, in tutto questo caos, risuona una frase. Sempre la stessa e sempre valida: ci vuole un pazzo per rimanere sani.

Il 30 novembre 2000, appena prima della fine del primo anno del nuovo Millennio, dalla Svezia arrivava inaspettatamente un successo clamoroso. “It takes a fool to remain sane” dei The Ark, che in Italia ha passato buona parte del 2001 nella top ten – e ovviamente si è ritagliato il suo spazio anche al Festivalbar. Stavolta non c’era più Fiorello con la Marcuzzi, con lei c’erano Natasha Stefanenko e Daniele Bossari.

The Ark erano un gruppo glam rock svedese fino ad allora conosciuto solo in patria, formatosi dieci anni prima di conoscere il successo internazionale. “It takes a fool to remain sane” è un invito ad essere se stessi, senza aver paura di essere giudicati. Famoso, allora, era diventato anche il videoclip del brano, che mostrava il frontman Ola Salo con i suoi abiti eccentrici, diviso tra strade di città e una metropolitana deserta, prima di ricongiungersi al resto della band in cima a un grattacielo. “It takes a fool to remain sane” ebbe un successo talmente grande da vincere il premio come Canzone dell’anno agli MTV Europe Music Awards. Rispecchiava chiaramente la confusione del tempo – che poi è la confusione di sempre: a generation lost in pace, una generazione smarrita, alla ricerca di un’identità. Le delusioni quotidiane, i giudizi e i pregiudizi. Il brano è semplice nei contenuti, che sono universali, ma il suo successo, che dura ancora nel tempo, non è attribuibile solo alla sua musicalità. Non a caso, a vent’anni di distanza è ancora amatissimo e il tema sempre attuale. Quante volte ce lo siamo chiesti, stremati dalle lotte del quotidiano, senza nemmeno più il Festivalbar da guardare: wasn’t life supposed to be more than this? Anche il 2020 volge al termine e ancora una volta, in tutto questo caos, risuona la stessa frase.

Photo via Unsplash

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