È morto Hugh Masekela, il padre del jazz sudafricano contro l’apartheid

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Si è spento a 78 anni a Johannesburg Hugh Masekela, trombettista, cantante e compositore, considerato il padre del jazz sudafricano, dopo una lunga e coraggiosa battaglia contro il cancro alla prostata cominciata nel 2008 e che lo aveva portato a cancellare tutti i suoi impegni. Ad annunciarlo è stata la sua famiglia: “Il contributo di Hugh e la sua partecipazione al mondo della musica, del teatro e in generale delle arti resteranno impressi nella mente e nella memoria di milioni di persone nel mondo.”

Il dolore per la sua morte ha invaso i social media. Il ministro sudafricano per le arti e la cultura Nathi Mthethwa su Twitter ha scritto che “è crollato un baobab. Il Paese ha perso uno dei grandi architetti dell’afro-jazz, che ha elevato lo spirito della nazione attraverso la sua musica immortale”. Anche il presidente sudafricano Jacob Zuma piange Masekela “che ha portato alta la torcia della libertà nel mondo, lottando contro l’apartheid con la sua musica e mobilitando il supporto internazionale nella battaglia per la fine della segregazione. Non dimenticheremo mai il suo contributo”. 

Masekela iniziò fin da bambino a suonare il pianoforte, e già da giovanissimo si fece una cultura musicale in campo jazz ascoltando i grandi della musica afroamericana come Louis Armstrong, Bessie Smith, Ella Fitzgerald, Duke Ellington, Cab Calloway, Billie Holiday, Miles Davis e Dizzie Gillespie: “Ci identificavamo con il jazz perché a quei tempi il jazz mostrava l’eccellenza di un popolo che era stato schiavizzato e discriminato. Dizzy e Miles non erano amati dall’establishment occidentale. Erano gente nera che non si faceva raccontare balle. Louis Armstrong, Billie Holiday e Count Basie rappresentavano il trionfo sull’oppressione.”

A 14 anni, dopo aver visto il film “Chimere” (in cui Kirk Douglas interpretava il trombettista statunitense Bix Beiderbecke), decise di suonare la tromba e formò con alcuni compagni di scuola il gruppo musicale “Father Huddleston Band“, che fu la prima orchestra jazz giovanile del Sudafrica e che incise alcuni brani nel 1956. Negli anni successivi Masekela suonò in numerose orchestre jazz, sotto la direzione di musicisti affermati come Zakes Nkosi, Ntemi Piliso, Elijah Nkwanyana e Kippie Moeketsi, per approdare nel 1956, non ancora ventenne, nell’orchestra African Jazz Revue di Alfred Herbert. Nel 1958 suonò in tour con i Manhattan Brothers, e attraverso di loro venne scritturato per il celebre musical “King Kong” di Todd Matshikiza, nel cui cast compariva, tra l’altro, anche un’altra stella nascente della musica sudafricana, Miriam Makeba, futura moglie di Masekela: l’anno dopo fondò il gruppo musicale Jazz Epistles, insieme ad Abdullah Ibrahim, Kippie Moekesti, Makhaya Ntshoko e Johnny Gertze. Nel 1960, dopo gli eventi sanguinosi del massacro di Sharpeville e il successivo inasprirsi del regime dell’apartheid espatriò negli Stati Uniti, dove conobbe Louis Armstrong, che tempo prima gli aveva inviato una tromba in regalo, e divenne amico di Harry Belafonte e di jazzisti come Dizzie Gillespie e Miles Davis.

Il successo venne nel 1965 con l’album dal vivo “The Americanization of Ooga-Booga“: si trasferì a Los Angeles e qui cominciò una serie di collaborazioni prestigiose con artisti come Harry Belafonte, Byrds e Bob Marley e vendette quattro milioni di copie con il singolo “Grazing in the Grass” nel 1968. Negli Anni Settanta Masekela decise di tornare in Africa, vivendo per qualche tempo in Guinea, poi in Liberia, in Ghana, nello Zaire e in Nigeria, incidendo dischi innovativi con artisti di spicco della scena musicale africana come Dudu Pukwana, Fela Kuti e Herp Albert; negli anni Ottanta si trasferì in Botswana dove creò una scuola di musica e uno studio discografico e dove iniziò a fondere il proprio stile con elementi tratti dalla musica etnica dell’Africa del Sud, soprattutto dal mbaqanga zulu ma anche dalla tradizione musicale xhosa, tswana e di altre etnie.

Costretto a ritirarsi nel Regno Unito, nel 1986 incise con l’orchestra Kalahari il singolo “Bring Him Back Home“, brano in favore della campagna per la scarcerazione di Nelson Mandela che divenne uno degli inni della campagna Free Mandela e della lotta all’apartheid. In seguito partecipò al tour di Paul Simon per l’album “Graceland” insieme a Miriam Makeba e Ladysmith Black Mambazo e negli anni Novanta, terminato il regime dell’apartheid, rientrò in Sudafrica. Da allora Masekela è rimasto uno degli artisti africani di maggior successo sia in patria che a livello internazionale e si è dedicato spesso a promuovere artisti sudafricani emergenti, anche attraverso la sua etichetta discografica, la Chissa Entertainment.

 

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