Goldfrapp: “Silver eye”. La recensione

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Abbiamo già avuto modo di anticiparvi le notizie su “Silver Eye“, il settimo album in studio del gruppo di musica elettronica inglese Goldfrapp, pubblicato nel 2017 per l’etichetta Mute Records, la stessa dei Depeche Mode, e anticipato dai singoli “Anymore” e Systemagic“.

Alison Goldfrapp e Will Gregory già nel luglio del 2015 avevano annunciato via Twitter che il gruppo sarebbe ritornato in studio per registrare del nuovo materiale e per lavorare sul nuovo disco senza dare una data di pubblicazione precisa e dicendo solo che sarebbe stato nel 2017. Dopo aver finito il tour per la promozione del precedente disco “Tales of us” e dopo aver prodotto una propria versione della “Medea” di Euripide al Royal National Theatre, i Goldfrapp hanno scelto John Congleton (Blondie, St Vincent, Swans) e The Haxan Cloak (Bjork) per produrre il novo disco perché, a detta loro, volevano cambiare suono. Dopo aver postato delle immagini teaser nello scorso dicembre il gruppo ha finalmente pubblicato il primo singolo “Anymore” seguito da “Ocean”, “Moon in Your Mouth” e “Systemagic”.

Già dal primo singolo “Anymore” (che è anche il primo brano del disco) si capisce che i Goldfrapp hanno decisamente invertito rotta rispetto al precedente disco “Tales of us”, puntando di più sull’elettropop e abbandonando certe atmosfere sognanti e rarefatte e reinserendosi nel solco tracciato da canzoni come “Ooh la la”. Il secondo brano è il secondo singolo scelto per promuovere il disco, “Systemagic“, altro brano elettropop molto coinvolgente e divertente che richiama alcune atmosfere proprie della vaporwave. Si rimane nella vaporwave anche con “Tigerman“, canzone dal passo più letto rispetto alle due canzoni precedenti ma non per questo meno orecchiabile anche grazie ai tamburi incalzanti e al ritmo deciso e che richiama alcune atmosfere molto lynchiane.

Cover
Goldfrapp – “Silver eye” – Cover

La sapiente e lunga mano della Mute Records si sente in un pezzo come “Become the One” che sembra scritto da Dave Gahan e soci più che dai Goldfrapp: subito dopo abbiamo i due brani più “lenti” del disco, “Faux Suede Drifter” e “Zodiac Black“, con il primo che si fa preferire al secondo per una maggiore presenza musicale e per un minore uso degli effetti. A completare questa parte centrale del disco troviamo “Beast That Never Was“, brano che si inserisce perfettamente nel contesto disegnato dalle canzoni precedenti.

Il disco ritorna a prendere ritmo con “Everything Is Never Enough“, canzone lunga ma che passa insospettabile grazie al suo ritmo e alla sua piacevolezza ritmica e melodica. Con “Moon in Your Mouth” invece siamo in pieno territorio moderno, una canzone che avrebbero potuto fare (o sognare di fare) gli Scandroid, i Birthday Massacre o i Chvrches, questo a dimostrazione del fatto che certi gruppi se entrano in un nuovo territorio musicale e sono dotati di talento possono comunque insegnare qualcosa. L’album si chiude con “Ocean” e direi che si chiude alla perfezione con un brano cupo, d’atmosfera, ben suonato e ben cantato.

Serviva forse uno scossone dopo il precedente “Tales of us” e i Goldfrapp hanno capito e applicato alla lettera il manuale del perfetto compositore: hanno preso due produttori vincenti e moderni, hanno aggiornato il loro repertorio, sono tornati sulle vecchie tracce musicali tracciate da loro stessi e hanno fatto inevitabilmente centro. Come detto prima “Silver eye” è un disco molto moderno, accattivante, elettronico e sapido, dal contenuto mai banale e molto coinvolgente: le canzoni hanno musicalità e carisma e sono sicuro spopoleranno dal vivo grazie al loro indiscusso fascino elettronico (non ha caso li ha scritturati la Mute Records, e loro di elettronica se ne intendono). In definitiva questo disco è consigliatissimo per gli amanti del genere e non solo che troveranno un disco carino, ben confezionato e accattivante al punto giusto. Un ottimo disco, insomma.

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