Opeth: “Sorceress”. La recensione

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Cambiare genere in un ambito musicale è sempre un passo da non compiere a cuor leggero, soprattutto se il genere da cui si proviene è un genere di nicchia: il rischio è duplice, perdere i vecchi fans e non conquistarne di nuovi. Questo ragionamento deve essere suonato molte volte nella testa di Mikael Åkerfeldt, leader degli Opeth, band di death metal svedese che ha deciso di convertisti al progressive metal con il suo dodicesimo disco, “Sorceress“, e sono le stesse parole di Åkerfeldt a testimoniarlo: “All’inizio ci ho messo del tempo per abituarmi al nuovo tipo di suono, non avendo urla e roba del genere. Ma credo che fosse un cambio necessario per noi. Forse la band non avrebbe continuato se non l’avessimo fatto. Penso che i vecchi fans degl Opeth capiranno. Ci saranno sempre persone che ci odiano, non puoi essere amato da tutti. Non vedo il punto di suonare in una band e fare solo una cosa quando puoi fare di tutto. Sarebbe impossibile per noi suonare solo death metal; sono le nostre readici ma ora siamo un misto di tutto e non siamo chiusi a nessuna forma di musica. Molto francamente posso dire che sarebbe noioso suonare in una band che suonasse solo musica metal. “

Già dal disco “Heritage”si era notato questo cambiamento nello stile degli Opeth ma è con questo “Sorceress” che il tutto sembra essersi consolidato e stabilizzato: il dodicesimo album in studio della band svedese abbandona le scogliere sicure del death metal per approdare nella terra del progressive e delle contaminazioni passando dalla musica classica al folk. Sono ormai molto lontani i tempi delle urla e del gothic metal, i loro sono echi che si possono ancora acoltare in alcune canzoni ma che si sono affievoliti: in questo momento della sua carriera la band (Mikael Åkerfeldt, Martín Méndez, Martin “Axe” Axenrot, Fredrik Åkesson e Joakim Svalberg) sta abbracciando una nuova strada e lo mostrano le nuove canzoni.

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Opeth – “Sorceress” – Cover

Sorceress” si apre con “Persephone“, brano da locanda medioevale con tanto di voce narrante femminile: subito dopo ci troviamo nel progressive spinto della title-track, capace di cambiare almeno un paio di generi in appena sei minuti e dove compare la voce di Åkerfeldt, molto più pulita (a dispetto degli effetti) che guida il ritmo grazie anche ad una linea di basso molto aggressiva ed efficace. Molto più marcatamente sul progressive è invece “The Wilde Flowers“, canzone con un bridge dove la chitarra slide disegna un’atmosfera alla Doors molto psichedelico con un intermezzo inquietante e corale.

Will O the Wisp” si apre con la chitarra acustica e non cambia eccessivamente struttura durante il suo corso, confermandosi un gran bel pezzo rock e uno dei migliori del disco, mentre “Chrysalis” è un pezzo hard rock senza compromessi con tanto di bridge con organo hammond che fa tanto bene al cuore dei fans del prog rock fino allo strumentale finale più dilatato dove la chitarra può spaziare come meglio crede. Con “Sorceress 2” invece a regnare sono la voce di Åkerfeldt, la chitarra acustica e i cori che confezionano un pezzo delicato e d’atmosfera: ritroviamo la chitarra acustica in “The Seventh Sojourn” ma questa volta il ritmo aumenta e si fa arabeggiante con tanto di flauti ipnotici e tamburi tribali, a dimostrazione che in questo disco non ci sono preclusioni per nessun genere.

Strange Brew” è stata scritta insieme da Åkerfeldt insieme a Fredrik Åkesson ed è la canzone più lunga del disco, una sorta di narrazione alla Genesis che parte piano, si inoltra nel regno del prog, scivola nell’hard rock e del metal prima di piombare in un suono cupo dove gli assoli delle chitarre lanciano pure stilettate: il pezzo successivo “A Fleeting Glance” fa venire in mente i primi Echolyn per tutte le sue variazioni musicali e le sue soluzioni stilistiche. “Era” comincia con un dolce assolo di piano e dopo nemmeno un minuto diventa un infuocato rock controtempo senza soluzione di continuità prima di cedere il passo a “Persephone (Slight Return)“, l’ultimo vezzo musicale di questo disco con un testo da brividi (“The years went by with disquieting grace/A past obsession sunk without a trace/I moved into winter and found my home/As my boiling blood had turned to chrome” “Gli anni sono trascorsi con grazia inquietante/Una vecchia ossessione è svanita senza lasciare traccia/Sono andata verso l’inverno e vi ho trovato la mia casa/mentre il mio sangue bollente si tramutava in cromo.”)

Questo “Sorceress” è più un album di progressive rock che di metal: le parentesi metal in questo disco lasciano lo spazio ad ariosi arpeggi e assoli figli più del prog che del death e del metal. La nuova strada intrapresa da Åkerfeldt e soci ormai sembra aver approdato a questo nuovo stato di cose dove l’organo hammond è ben accetto e dove si rischia in ogni canzone: il nuovo esperimento musicale targato Opeth passa l’esame a pieni voti (anche se alla lunga potrebbe stancare orecchie non abituate a questo tipo di musica) e ha un paio di spunti davvero interessanti (“The Wilde Flowers” e “Strange Brew” su tutte) e la voce narrante all’inizio e alla fine del disco fa da corollario ad un album dal giusto spessore e dal discreto appeal, un lavoro onesto e soprattutto molto ben suonato da parte di veterani del campo. Un piccolo oscuro gioiello, come i tre semi di melograno che Ade fece mangiare a Persefone per costringerla a rimanere con lui nell’Oltretomba. Buon ascolto.

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