Faith no More: “Sol Invictus”. La recensione

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Dopo 11 dallo scioglimento e dopo 6 anni dalla reunion, i Faith No More tornano sulle scene musicali e dopo più  di cinque anni di concerti danno alla luce il nuovo disco Sol Invictus a 18 anni di distanza dal precedente “Abum Of The Year” .

La formazione è quella presente al momento della scissione, con Mike Patton alla voce, Jon Hudson alla chitarra, Bill Gould al basso, Roddy Bottum alle tastiere e Mike Bordin alla batteria, ed il nuovo disco è interamente prodotto dall’etichetta indipendente Reclamation Recordings, costola della Ipecac Recordings, del cantante Mike Patton. Quindi un disco molto “casalingo” e, a detta del gruppo, influenzato dalle sonorità dei Banshees, Roxy Music e Siouxsie and the Banshees.

Sol Invictus“, anticipato dai singoli “Motherfucker” e “Superhero”, è un disco composto da 10 tracce per quasi 40 minuti di musica e parte con la title-track “Sol Invictus“, alquanto strana per composizione musicale e strumentale: subito dopo troviamo il singolo “Superhero“, in pieno stile Faith no More, soprattutto per l’attacco che richiama ai fasti del passato.

Con “Sunny side up” i FNM danno prova di estro e variabilità, passando per ritmi diversi e tempi diversi con estrema facilità guidati dalla voce di Patton che non sembra avere perso un grammo del suo stile, mentre con le atmosfere lugubri di “Separation Anxiety” ritorniamo indietro ai tempi del muro sonoro di “King for a day, fool for a lifetime”. “Cone of shame” parte con un arpeggio di chitarra elettrica per poi scatenarsi nel prosieguo della canzone partendo dal country per finire all’hard rock.

cover faith no more sol invictus
Faith no More – “Sol Invictus” – Cover

Già dall’inizio “Rise of the fall” mostra di essere il pezzo più imprevedibile del disco, con le sue variazioni, mentre “Black Friday” mostra le tendenze garage del gruppo mescolandole con il suo stile: dopo troviamo il primo singolo “Motherfucker“, che sembra un trait d’union tra i vecchi e i nuovi Faith no More e che potrebbe dare qualcosa di più.

Il disco si avvia verso la fine con “Matador“, canzone che non rappresenta appieno lo stile di Patton e soci e che lascia l’ascoltatore interdetto, facendogli pensare ad un esercizio di stile, e finisce con “From the dead“, canzone che sembra uscita dritta dagli anni ’60 e come al solito mostra come i Faith no More siano capaci di destreggiarsi tra più generi uscendone praticamente incolumi.

In “Sol Invictus” c’è praticamente tutto il repertorio dei Faith No More: alternative rock, nu metal, rock, pop, tutto mescolato e frullato in nome del crossover. La band del camaleontico Mike Patton produce un disco che spiazza e lascia perplessi: l’ascoltatore ha tra le mani il ritorno di un gruppo che ha segnato un certo modo di intendere il rock e si trova a doversi confrontare con un album che lascia un senso di smarrimento e di attesa, come se nelle canzoni ci fosse una promessa che non viene mantenuta. Per carità, “Sol Invictus” è un disco in fondo equilibrato e merita più di un ascolto, ma ovviamente, dopo quasi vent’anni d’assenza ci si attendeva un disco a dir poco esplosivo e non un compitino fatto con una mano sola quasi in maniera svogliata. Più che di luce, sembra legittimo parlare di buio.

 

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