Ben Harper: “Childhood home”. La recensione

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E’ uscito “Childhood home“, nuovo album del cantante e chitarrista Ben Harper per l’etichetta Concord Music Group Inc/Prestige Folflore. Benjamine Chase “Ben” Harper, talentuoso chitarrista e cantante blues e folk che ha saputo nel corso della sua carriera reinventarsi più e più volte sia con il rock (citiamo “Faded“) che con il soul (per esempio con “Jah work“), il folk ed il gospel, fino ad arrivare al funk ed al gospel (“With my own two hands“) suonando con il suo gruppo dei The Innocent Criminals e con i Blind Boys of Alabama, collaborando con artisti internazionali e suonando nei club di tutto il mondo.

Questo nuovo album, suonato insieme alla madre Ellen Harper, è il suo diciattessimo album totale (13 in studio e 4 live) e vede la collaborazione di Jason Mozersky alla chitarra, Jesse Ingalls al basso e tastiere e Jimmy Paxson alla batteria. In questo disco Ben suona la chitarra slide Weissenborn, l’autoharp ed il dulcimer mentre la madre suona la chitarra ed il banjo. Il disco è stato registrato e prodotto in California e le foto all’interno del booklet sono di Trifon Trifonopoulos mentre l’art direction è stata affidata a Tom Dolan.

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Ben Harper – Childhood home – Artwork

Il disco, dedicato alla memoria di Dorothy e Charles Chase, è composto da 10 canzoni per 34 minuti di musica e parte con “A house is a home“, canzone che ti avvolge con il suo calore che sa di caminetto di casa e abbracci e risate, segno del migliore folk americano, facendoci fare quasi un tuffo nel passato. Tuffo nel passato che prosegue con “City of dreams“, brano lento e dolce con la voce della madre in primo piano che parla di sogni ad occhi aperti e di un posto che si è scelto di chiamare casa.

Il tema della casa, dell’appartenenza e della memoria è molto presente in questo disco, così come il tema dell’amore, così caro al folk americano, come mostrano i pezzi “Born to love you” e “Heavyhearted world“, densi di atmosfera e carichi di pathos. Con “Farmer’s daughter” andiamo nel territorio del country e forse è l’unico episodio del disco non all’altezza con gli altri, almeno per impatto musicale ed emotivo.

Il disco si riprende subito con “Memories of gold“, una nenia voci e chitarra che rapisce per la sua sensibile poesia. Si ritorna a parlare di amore con “Altar of love“, un brano di profonda ispirazione gospel dove Ben lascia la scena alla madre ed alla sua chitarra slide e fa immaginare un prato di stelle, un bivacco ed il calore di una coperta. Subito dopo segue “Break your heart“, canzone che segue il copione della precedente e dove Harper si limita a suonare la chitarra e a cantare nei back vocals.

Il disco riprende un poco di ritmo ed il suo protagonista maschile con “Learn it again tomorrow“, con i temi così cari ad Harper come la crescita personale e la voglia di migliorare, e termina con “How could we not believe“, canzone di amore e di speranza.

Ben Harper ci ha sempre abituati a dischi molto particolari e fuori dagli schemi ed anche stavolta ha fatto qualcosa di particolare, ovvero suonare e cantare un disco con la madre, che tanto ha fatto per la sua formazione musicale con il negozio musicale di famiglia dove il piccolo Benjamin passava la maggior parte del tempo. Ne viene fuori un disco piccolo e magico, un piccolo gioiello in chiave folk e country, un disco dove si parla di argomenti basilari come amore, famiglia, casa e speranza con lo stile e la voce inconfondibile di Harper. Un disco da ascoltare la sera, con una tazza di tè caldo ed una coperta come compagna davanti ad un camino per rimettersi in pari con le cose importanti del mondo.

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