Meat Puppets: “Rat farm”. La recensione

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Meat Puppets - "Rat farm" - Artwork

Ho letto in rete commenti molto contrastanti su “Rat farm“, ultima fatica dei Meat Puppets. Giudizi che vanno dall’entusiastico al catastrofico. E la cosa mi ha incuriosito moltissimo. Tanto da decidermi di ascoltare questo disco.
Innanzi tutto un poco di storia, giusto per orientarsi: i fratelli Curt e Cris Kirkwood provenienti da Paradise Valley Arizona nel corso degli anni ’80 e ’90 hanno scritto la storia del punk americano prima e del free rock poi grazie a dischi come “Too high to die” e da lì poi è cominciata una fase di normalizzazione (secondo molti di declino) fino ai lavori degli anni 2000 come “Lollipop” e “Rise to your knees“. A distanza di due anni da “Lollipop” ecco il quattordicesimo album in studio della band, con Cris Kirkwood che si alterna tra galera e disintossicazione ed il fratello Curt che cerca di tenere in piedi la baracca grazie all’ingresso in formazione di un figlio di Curt, Elmo, alla seconda chitarra e un altro rampollo d’arte, Shandon Sahm (il papà era Doug), sistemato dietro piatti e tamburi.

Dopo questa doverosa premessa eccoci al disco vero e proprio: “Rat farm” è un disco da 12 tracce per 45 minuti totali che era stato annunciato da Curt come “folk music davvero festoso“. Il che suona un pochino curioso, viste le basi della band, ma che rientra comunque nella linea dei suoi precedenti lavori, che mostravano come i fratelli Kirkwood abbiano deciso di prendersela più comoda ed abbandonare i terreni impervi della sperimentazione per camminare sulla strada facile del mainstream.

Dico subito che i fan della prima ora, quando ascolteranno questo disco, credo che probabilmente lo lanceranno dalla finestra o contro il muro. Chi si accosta a questo disco invece vergine della storia dei Meat Puppets troverà un album di 12 brani di alt country, rock alternativo, folk punk con punte di praticamente qualsiasi cosa, dal reggae al prog all’acid rock, con tendenze byrdsiane.

Meat Puppets - "Rat farm" - Artwork
Meat Puppets – “Rat farm” – Artwork

L’introduzione con “Rat farm“, la title track, ci mostra un folk rock molto rilassato e ben suonato mentre “One more drop” tenta la strada del rock ritmato, così come “Down“, che imita in qualche modo lo stile di gruppi come i Manic Street Preachers, sempre però con una voglia di suonare in maniera rilassata e molto tra il folk e il country.

Troviamo tracce di post-grunge in “Leave you head alone” e di tendenze alla Byrds in “You do n’t know“, così come colpiscono le folk ballads “Again” e “Waiting“, ma il disco è abbastanza incardinato su questo filone di musica rock molto tranquilla e basata molto sul folk e sul country, quasi dal tono conviviale. Il disco si chiude con “Sweet“, pezzo un po’ differente dal resto del disco grazie alle sue chitarre.

Tranne lo strappo rappresentato proprio da “Sweet” l’album è indirizzato in maniera molto precisa nella strada del folk e country e sono sicuro molti fans troveranno questo lavoro scadente e molto lontano dai Meat Puppets che loro conoscono. Sembra che l’afflato sperimentale iniziale di anni e anni fa che portò alla nascita del genere college sia decisamente svanito e che ormai si suoni tutt’altra cosa. Suonata anche benino, sia ben chiaro, ma tutt’altra cosa. Il problema è tutto qui. Bisogna operare una scelta: accontentarsi o abbandonare. Io qualcosa di questo disco lo salvo (la già citata “Sweet”, “Leave your head alone” e “Waiting“), il resto mi sembra onestamente poca cosa sapendo chi la suona e che storia ha avuto. Peccato.

 

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