C’è chi la preferisce sfacciata, chi la vuole raffinata, chi non ha bisogno di grandi viaggi musicali o chi invece pretende sia sofisticata. E’ la musica indie rock, che da quando ha avuto la sua massima espansione nei padiglioni auricolari di tutti i fedelissimi, non ha fatto altro che assumere forme e colori diversi, caratteri e orientamenti opposti. C’è chi si approccia al genere affacciandosi di più al pop o chi abbraccia gli strumenti con intento di poter dare un tocco alternativo alla leggerezza immediata della musica indie, e c’è invece chi in maniera naturale riesce ad essere sofisticato, raffinato e immediato, tanto da essere anche considerato “pop”. Parliamo dei Cold War Kids quando usiamo certe espressioni, e vi diremo di più, che oltre ad occuparsi di un “pop immediato” o di un “indie sofisticato“, la band californiana, ormai giunta al quarto album, riesce a ritagliarsi quasi un angolo esclusivo nel panorama musicale attuale. La peculiarità della produzione musicale della band è sicuramente il timbro vocale di Nathan Willet, oltre ad essere voce, anche pianoforte della formazione, il quale dona carattere particolare e ricercato ad ogni brano che i Cold War Kids mettono su. Non per mettere in ombra il resto della band, ma se c’è una cosa che ci fa riconoscere i Cold War Kids nell’immenso oceano della musica indie, oltre ad essere l’immediatezza raffinata è sicuramente quella voce così ambigua e a tratti sensuale che caratterizza tutta la tessitura musicale messa su dalla band. Gli esordi li vedevano partire con un carattere ben preciso e con un’alternatività di fondo che probabilmente avrebbe potuto intraprendere delle strade diverse, ma che in fondo, arrivati al quarto lavoro discografico ci suggerisce che i Cold War Kids hanno tutta l’esigenza di lasciarsi andare ad un pubblico più ampio.
Quando parlo di ampiezza ovviamente mi riferisco all’apertura musicale che la band potrebbe abbracciare lanciandosi al pop, e come in fondo ci sembra percepire dall’ascolto di “Dear Miss Lonelyhearts”. Tutto sommato però l’album non ci sembra suonare male, e tra gli accordi di un intro molto molto ma molto simile a “Dog Days Are Over” della Florence rossa dell’indie rock in “Miracle Mile” e la chiusura con “Bitter Poem” passando per la ballata romantica intitolata “Tuxedo“, il disco se la cava piuttosto bene. I suoni risultano meno puliti e chiari rispetto alle precedenti esperienze in studio, ma sperimentare vuol dire anche giocare con la pulizia dei suoni. “Water & Power” è l’apice dell’apertura e della disperazione vocale del frontman, che addirittura a tratti riesce anche ad esprimere una certa sensualità. Non deve essere facile navigare nell’oceano indie quando vuoi emergere risultando meno scontato ma più impegnato. Tutto sommato la qualità artistica si percepisce nonostante la svolta più popolare e meno ricercata, ma al di là dei generi e delle categorie la buona musica si percepisce al fiuto, e “Dear Miss Lonelyhearts” sin dai primi ascolti sembra andarci a genio, come del resto i Cold War Kids fanno dai tempi di “Robbers and Cowards” album degli esordi targato 2006.