The Knife: “Shaking The Habitual”. La recensione

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The Knife - Shaking The Habitual - Artwork
The Knife - Shaking The Habitual - Artwork

Se mai si fosse parlato di musica astratta, la musica dei The Knife avrebbe sicuramente preso posto in quella corrente artistica che ha caratterizzato tutta l’arte del XX secolo. Se mai la musica fosse lo specchio della società o del periodo storico in cui viene concepita, sicuramente i The Knife sarebbero la perfetta reincarnazione dell’industrializzazione. Se mai la musica dovesse dare l’idea dell’oggettività materiale i The Knife probabilmente non avrebbero mai preso posto nella discografia internazionale, perché ad oggi, e ormai da anni, si impongono per la rottura di tutti gli schemi melodici e armonici alla base di tutte le discipline musicali che si sono costruite ed evolute nel tempo. “Shaking The Habitual” distrugge tutte le premesse che possono essere costruite in materia musicale, e del resto, con un titolo del genere, non possiamo aspettarci altro. Nati con l’intento di criticare il sistema politico, arrivati fino a qui invece con l’aver distrutto l’idea di musica di parecchi, i The Knife hanno dato vita ad un album quasi inascoltabile, e questo dopo sette lunghi anni di lavoro. Il confine sottilissimo tra astrattismo e musica evidentemente inascoltabile e fastidiosa, in questo album è stato varcato inesorabilmente, senza alcuna remora, e addirittura sfacciatamente. Nel De Rerum Natura di Lucrezio veniva fatto riferimento alla materialità delle cose, all’atomismo della realtà, e alla presa di coscienza da parte dell’uomo di essere vittima stesso di passioni talvolta impercepibili, in una realtà percepibile. Ad oggi questo concetto viene più volte ripreso, in maniera del tutto inconsapevole, o quantomeno viene ripreso e messo da parte, viene tutto considerato come un’insieme impercepibile, con la consapevolezza che in fondo non è assolutamente così. Non volendo fare la fine del disco del duo proveniente dal nord, cercherò di spingervi a prendere coscienza di un disco assolutamente impercepibile, di ascoltarlo, e di rendervi conto che in fondo la musica è ben altro, che al di là dei gusti musicali, effettivamente “Shaking The Habitual” non è nemmeno un’opera di astrattismo musicale, ma è un ritorno alle origini, un ritorno a ciò che probabilmente rientrava nel concetto di musica pur non rispettando i canoni didattici di quest’ultima. La bellezza oggettiva della musica esiste, o quantomeno, misurandola in termini di resistenza d’ascolto, l’ascoltatore valuta quanto sia riuscito a sopportare una serie di rumori proveniente dal nulla.

The Knife - Shaking The Habitual - Artwork
The Knife – Shaking The Habitual – Artwork

L’elettronica dei lavori precedenti, seppur vestita di nero, di un silenzio rumorosissimo, o parlando in termini di camuffamento animale come criptismo baseomomorfico, ci aveva fatto conoscere un universo essenziale, spogliato di qualsiasi abbellimento musicale, marchio di fabbrica della filosofia musicale dei The Knife. Il ritorno alle origini in Shaking The Habitual è legato a quei suoni tribali che di tanto in tanto interrompono il silenzio interminabile di tracce che durano non meno di dieci interminabili minuti. Si passa dal silenzio terrificante ad un irrompere insistente di temi martellanti e fastidiosi, che ci costringono a cambiare disco. Non è una nota di merito questa per la musica dei The Knife, ma potrebbe essere l’invito a compiere un passo indietro e a tornare all’essenziale semplicità che in questa ultima fatica discografica sembra aver trovato il suo sviluppo in un’essenziale inesistenza. “A Tooth For An Eye” forse rappresenta l’unico tentativo melodico di tutto il disco, che a mio avviso risulta un susseguirsi noioso di mugugni e silenzi. Che non me ne vengano a dire i più fanatici del genere, se vi piace un disco del genere è perché di musica non avete mai capito niente. Un mood misterioso, violento, terrificante e cupo non è abbastanza per emergere dalla monotonia silenziosa di questo disco, che si proporrà anche come uno scossone alle abitudini, ma è uno scossone totalmente fuori luogo. Il disco non può essere collocato nemmeno entro quei canoni strani che lo farebbero un buon prodotto per la meditazione spirituale, perché probabilmente vi spingerà ai gesti più inconsulti, e questo solo dopo la seconda traccia “Full Of Fire“. “Without You My Life Would Be Boring” riprende i temi dei precedenti lavori elettronici dei The Knife con un’elettronica impaziente e nervosa, che li ha portati a dominare la scena dell’art synth pop. “Old Dreams Waiting to Be Realized” è l’incessante silenzio di venti minuti nel bel mezzo di un album già noioso, che a dirla tutta se non avete sognato perché soffrite d’insonnia, probabilmente questo risulta essere la ninna nanna migliore per chi soffre di disturbi legati al sonno. “Raging Lung” rappresenta il momento più intimo e tranquillo dell’album, peccato pochissimi avranno il coraggio di arrivare all’ottava traccia del disco. Il duo svedese questa volta sembra aver fatto flop, e non per il loro continuo desiderio di rimanere ancorati all’essenza della musica, ma proprio perché hanno dato troppa importanza al lato oscuro, che probabilmente, almeno con la musica non funziona molto. L’abbandono dell’immagine come filosofia dell’arte musicale dei The Knife ha sempre funzionato, gli amanti della musica preferiscono l’essenza a tutto il contorno poco necessario, ma in questo caso sembrano essere troppi gli elementi mancanti. Si fa fatica ad arrivare alla fine del disco, e questo non può essere che un punto a sfavore.

8 COMMENTS

  1. “Che non me ne vengano a dire i più fanatici del genere, se vi piace un disco del genere è perché di musica non avete mai capito niente.”
    Una frase del genere basta e avanza, quanta presunzione.

  2. Concordo con Gabriele. Più che altro per la presunzione della recensione. Scrivi come se avessi la verità in tasca. Anche meno.

  3. Mi trovo in notevole disaccordo. Pur non essendo io un “fan boy” accanito, e vantandomi di avere una certa capacità ed una certa attitudine all’oggettività nell’analisi, dopo l’ascolto dell’album in esame sono rimasto piacevolmente colpito. Che non sia un lavoro ballabile ed accessibile, questo è certo, ma addirittura ridurlo alla categoria del “rumore” o di qualcosa che è “oggettivamente brutto” mi sembra, quanto meno, esagerato, cosi come la gratuita sparata sui “veri intenditori di musica”.
    Quanto meno, è interessante, sperimentale e coraggioso, un ottimo lavoro elettronico in un periodo in cui la gente apprezza merda tipo Skrillex ed altre terribili banalità. Lo ascolteremo mai in una serata? Certamente no, poichè è talmente lontano dai gusti di quello che non mi vergogno di chiamare volgo ignorante che non avrebbe successo.
    Vergognosa la citazione a Lucrezio ed all’atomismo democriteo, un (vano) tentativo di mostrare cultura ed intelligenza e che invece risulta solo stupidamente pretenziosa.

  4. Premetto che non ho avuto ancora modo di ascoltare per intero e con attenzione il disco, quindi su questo mi riservo un giudizio a posteriori.
    Credo però che, al di là del parere personale – e soggettivo – su di un disco si possa comunque valutare una recensione a prescindere dal giudizio che questa dà del prodotto. Possono esserci bellissime recensioni con le quali essere in disaccordo, e viceversa pessime recensioni che giudicano bene un disco che ci piace.
    In questo caso ho apprezzato molto la recensione, dalla quale traspare peraltro il gradimento dell’autrice per gli artisti, e probabilmente proprio da questo suo gradimento deriva la delusione per un lavoro che si aspettava completamente diverso.
    In definitiva il disco può piacere o non piacere, e probabilmente realizzando un lavoro del genere uno degli intenti dei The Knife era proprio dividere critica e fan, ma contestare l’utilizzo di alcuni termini o citazioni come “presuntuosi” solo perché il giudizio sull’album è stato negativo mi sembra quantomeno riduttivo.

  5. Anche io premetto di non aver ancora ascoltato il disco e conto di farlo quanto prima per testare quanto di musica io ne capisca! Mi pare di capire che qui non si discute sul parere soggettivo dell’autore della recensione, qui si ritiene presuntuoso il carattere oggettivo che la stessa ha dato al pezzo.

  6. Ho ascoltato i The Knife per la curiosità suscitatami da questa recensione e quindi il mio giudizio è limitato a tre tracce. La prima “A Tooth For An Eye” aiutata anche dal video simpatico risulta quantomeno ascoltabile fatta eccezione per la fastidiosa voce femminile ma dopo l’ascolto dei primi tre minuti di “Full Of Fire” l’unica sensazione che ne ricavo è di essere preso in giro. I 20 minuti di “Old Dreams Waiting To be Realized” mi hanno provocato rabbia e frustrazione: ma chi cavolo vi credete di essere John Cage?
    Rispondendo a @Bast, mi sembra che anche tu indicando quella di Skrillex come musica di merda (lo penso anche io) non fai altro che dare un giudizio assoluto, così come accusi di fare all’autrice della recensione.
    Perché si può dire di alcuni che fanno musica banale e di altri no?
    Questo gruppo lo trovo noioso e, loro sì, pretenziosi.

    • Non è esattamente vero che io accuso l’autrice di dare un giudizio assoluto. La mia critica alla recensione non deriva dal fatto che il suo giudizio sull’album sia opposto al mio, poichè, come tutti sappiamo, de gustibus non transigendum, ma deriva da quella che mi appare un’analisi affrettata del lavoro in oggetto e compiuta con una sorta di “livore” dei confronti del duo svedese, un’analisi, questa, che, sempre a mio parere, non permette di cogliere appieno il livello di sperimentazione e, perchè no, di avanguardia che il disco propone, e soprattutto il suo non voler scendere ai mediocri compromessi che gli artisti elettronici, negli ultimi anni, sembrano aver accettato in toto pur di vendere due copie in più. Più personalmente, a me il disco è piaciuto moltissimo e lo sto ascoltando spesso e con piacere, certo capisco che possa risultare “strano” o, comunque, poco fruibile ad un primo impatto, ma, se si guarda alla musica anche come manifestazione artistica e d’intelletto, allora si che si può indicare artisti “banali” ed altri meno banali o, direi, più coraggiosi. Poi, come diceva giustamente Pacovaron, l’intento era proprio quello di spaccare critica e fan, tra gli altri.
      Ribadisco, nel caso non fosse chiaro, massimo rispetto per i giudizi e le opinioni altrui, la mia critica verteva sulla pretenziosità della recensione, diciamo sulla forma (essendo una recensione, la sostanza E’ opinione, dunque non è criticabile). Si possono dare giudizi molto più negativi di quello dell’autrice ma con una forma quanto meno più soggettiva.
      Per il discorso “musica di merda”, bhè, a me dispiace per chi la apprezza, ma robaccia supercommerciale senza anima e scritta ed incisa solo per cavalcare il momento di splendore di un genere o di uno stilema (vedi la proliferazione della dubstep) non è definibile in altro modo (e con ciò non dico che non vi siano artisti che, pur rientrando nei canoni, non siano apprezzabili e godibili, ma a costoro io preferirò sempre, personalmente, gente che, come i The Knife qui, cerca di rompere gli schemi).

  7. il gusto è qualcosa di puramente soggettivo e va rispettato sempre.
    Personalmente non trovo spiacevole il lavoro dei the knife, certo è che le tracce di quest’ultimo album non faranno mai parte di nessuna delle mie playlist.
    Sono in parte d’accordo con la recensione fatta, solo la trovo davvero troppo pretenziosa e non mi riferisco ai gusti personali quanto allo stile di scrittura;
    “se vi piace un disco del genere è perché di musica non avete mai capito niente” lo trovo eccessivo e discriminante (così come altri passi dell’articolo), in alcuni punti appare che l’autrice ascoltava la sua voce e si compiaceva dei suoni melodici che essa provocava mentre scriveva, forse per questo quella voce stridula di A Tooth For An Eye stonava. In definitiva ed in termini di camuffamento animale come criptismo baseomorfico mi si potrebbe dire che ho scelto io di leggere e sentirmi discriminato, ecco perchè, sono io a scegliere di non leggere più i suoi articoli.
    Spero che quanto detto nei commenti non urti la suscettibilità della signora Pierri, persona forbita e preparata, ma l’aiuti ad essere un pò più umile quando si scrivono articoli su blog dove i gusti dei lettori dovrebbero essere rispettati. Più sostanza e meno paroloni che servono solo ad allungare un brodo che diventa freddo una volta pronto per essere mangiato.

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