Empty Tremor: “Iridium”. La recensione

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Empty tremor - "Iridium" - cover

Gli Empty Tremor, band prog metal del ravennate, dopo un silenzio durato sei anni torna e dà alle stampe un nuovo disco dal titolo “Iridium“, 9 tracce che trasudano prog da tutte le note. La formazione, composta da Giovanni de Lugli alla voce, Dario Cicconi alla batteria, Marco Scott Gilardi alle tastiere, Marco Guerrini e Christian Tombetti alle chitarre, ritorna quindi in auge dopo un notevole periodo di silenzio che aveva fatto temere sulla loro vita artistica e in 9 tracce dimostra di essere ancora viva e con molte cose da dire.

Il disco, già dalla opener “Breaking the mirror” mostra l’indirizzo del lavoro della band; un pezzo in pieno stile prog metal con molte variazioni musicali e dove le chitarre e la tastiera disegnano un tappeto musicale dove la voce calda e potente di De Lugli si muove perfettamente a suo agio, come dimostra il finale a cappella. Ma gli Empty Tremor sono anche altro, come dimostra “Run“, pezzo più orientato verso gli anni ’70, o “Everyday“, la più classica delle ballad.

Empty tremor - "Iridium" -  cover
Empty tremor – “Iridium” – Cover

Ma l’apice del disco è sicuramente “Warm embrace“, pezzo della durata di oltre dieci minuti che parte in maniera soft con la voce di De Lugli e una chitarra acustica e che prosegue con molte variazioni e cambi di tono e di ritmo. Dopo questa canzone il disco comincia a calare, con “Friend in progression” e “Unconditional love” che partono nella stessa maniera, come ballad, per poi variare e crescere nella migliore tradizione dei pezzi prog metal alla Dream Theater. L’unica differenza la troviamo in “The last day on Earth“, brano più cattivo e dai cori imponenti con un simpatico assolo di basso centrale, e nella finale “Iridium“, più melodica del resto del disco.

L’attesa era tanta ed è stata in parte premiata: il disco è piacevole e sarà gradito dagli amanti del genere. Ma in questo lavoro si osa troppo poco: si è preferito fare un buon lavoro che saziasse l’appetito dopo anni di assenza e non andare un pochettino oltre per fare un salto di qualità. Peccato.

 

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