Kitsch: “Mentre tutto collassa”. La recensione

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Kitsch - "Mentre tutto collassa" - Artwork

La band comasca dei Kitsch, fondatasi nel 2006 e composta da Attilio Kitsch alla voce, Ale Kitsch alla batteria, Massi Kitsch al basso e Adri Kitsch alla chitarra, ha rilasciato il suo album di debutto, “Mentre tutto collassa“, per la Prismopaco Records.

Il gruppo dei Kitsch, che si era già fatto notare con l’EP autoprodotto “Il gusto degli altri“, affida stavolta ad un lavoro di più ampio respiro la sua rabbia e la sua voglia di dire le cose che la circondano con schiettezza e sincerità, talvolta anche badando non molto alla metrica ma puntando più sulla musica e sul contenuto.

E così ci accoglie un rock anni ’70, quasi proto-punk, che supporta gran parte delle canzoni del disco: a partire dalla prima canzone, “Poetimprenditori“, una denuncia verso la commercializzazione della musica e delle persone, proseguendo per “La mia generazione“, un ritratto durissimo e crudissimo della generazione attuale, dipinta senza ideali e senza convinzioni.

mentre tutto collassa
Kitsch – “Mentre tutto collassa” – Artwork

La rabbia e la cattiveria non si esauriscono con “Cluedo“, un duro attacco alla televisione e ai mass media e al loro essere guardoni delle nostre vita, quasi dominandole ormai: ormai non rimane altro che affidarsi a “Le illusioni“, per scoprire “di che materia sono i sogni” (una delle migliori canzoni del disco, a mio parere).

Il disco continua con il rock adrenalinico di “Cazzo!” e con le belle schitarrate di “L’era dell’immagine“, altro attacco alla società di oggi, tutto apparire e niente essere, per poi sterzare su “Eugenio“, forse uno degli episodi peggio riusciti del disco.

Le ultime tre canzoni del disco racchiudono tre momenti diversi: “L’attimo“, nonostante il rock, è una bella ballata intimista e personale su come vivere la vita, che fa quasi il pare con “Alibi di vetro“, unico brano voce e chitarra acustica, in cui le parole e la musica si fondono abbastanza bene, per finire poi con “Mani in tasca“, un pezzo che ricorda i primi Marlene Kuntz e che è una delle canzoni migliori del lavoro del gruppo lombardo.

Come opera prima ci troviamo di fronte ad un disco apprezzabile, soprattutto per chi ama il rock anni ’70 e i testi diretti e schietti. In alcuni pezzi dell’album purtroppo il testo non sempre collima con la musica generando uno spiacevole effetto distorcente, ma crediamo sia un difetto che verrà corretto col tempo.

Voto:Dite la vostra!

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