Serj Tankian: Harakiri. La recensione

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Serj Tankian - "Harakiri" - Artwork

Se dovessimo giudicare un artista dagli impegni e dalle collaborazioni, Serj Tankian sarebbe una delle menti più prolifiche degli ultimi tempi. Negli ultimi anni non ha tralasciato niente, ha lavorato ad un musical (Prometheus Bound), si è dedicato alla poesia (Glaring Through Oblivion), ha scritto un album jazz (Jazz-in-chris), solo per citare alcune delle sue molteplici attività.
Questo ha accresciuto non di poco il livello di autostima che Serj già possedeva, tanto che l’artista si è sentito in dovere di denunciare i mali attraverso i quali gli uomini stanno distruggendo prima il pianeta poi loro stessi. E lo ha fatto tramite il suo terzo disco solista “Harakiri”.

Titolo che merita una nota a margine perché, se da una parte sintetizza con efficacia il senso delle 11 tracce presenti nel cd, dall’altra offre su un piatto d’argento ai critici la frase cardine mediante la quale  poter stroncare l’album stesso.
Nei 45 minuti di musica vengono toccate varie tematiche: denaro (Ching Chime), ambiente (Harakiri), società (Reality tv) e politica (Uneducated Democracy).
Ma aldilà dei testi, passiamo alla musica.

harakiri - figure it out - artwork

“Cornucopia”, secondo singolo e open-track, va subito al dunque. Chitarre veloci, cantato (vero e proprio marchio di fabbrica) breve ma efficace come il ritornello, ritmo incalzante. “I system of a down non sono poi così lontani” ti viene da pensare. “Figure it out” subito dopo conferma i tuoi pensieri e lo fa servendosi della parte quasi rappata che libera il brano su alte velocità ritmiche.
“Ching Chime” sembra spezzare la monotonia sonora con un’atmosfera mediorientale che purtroppo converge in un tradizionale ritornello di genere. La melodia innesta una voglia di epicità che l’artista non sembra riuscire a raggiungere. “Butterfly” ha il merito di precedere il brano migliore del cd, “Harakiri”. Il 3° singolo sembra rispolverare la migliore ispirazione dell’artista con un ritornello azzeccato e molto radio friendly. L’artista se ne compiace e lo canta fino alla fine del brano.
Si continua con “Occuped Tears” che regala una frenata inaspettata in stile Muse e “Defaining Silence” armata di suoni un po’ più tecnologici per poi svoltare verso il classico di “Foget me knot”, ricerca di un’atmosfera in stile Opera agevolata dall’accompagnamento di una voce femminile.
Si arriva verso la fine dell’album intuendo oramai qual è il percorso dell’artista, che ha seminato brano dopo brano piccole particolarità incapaci di vivere oltre la natura alt-metal che guida la composizione. La melodia costantemente ricercata spiazza un po’ e non mancherà chi tra i fans chi recriminerà per l’eccessiva quantità di ‘dolcificanti’ usati nella ricetta per l’album.

“Harakiri” è come vedere un atleta di salto in lungo che si dimena in una rincorsa interminabile per poi non saltare. C’è un doppio punto di vista per giudicare l’album: se si ha stima di Tankian questo cd non può che essere visto come un compitino e niente di più, se giudicato senza tener conto di altro è un buon album che in alcuni punti annacqua e si appiattisce perché troppo schiavo del genere.

Tutto ciò non fa altro che rafforzare la posizione di Serj Tankian nel suo mondo. Forse anche nel vostro. Non di certo nel mio.

Dite la vostra!

 

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