Vito Ranucci Ensemble: “Dialects”. La recensione

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Vito Ranucci Ensemble - "Dialects" - Artwork

Dopo 4 anni dal suo ultimo disco “Il giardino delle delizie” torna il musicista Vito Ranucci, uno degli esponenti più eclettici e maggiormente riconosciuti della world music italiana, e torna con un nuovo disco, “Dialects“.

Il disco, pubblicato dalla MK Records e distribuito da Venus – Piramis, propone una musica del tutto particolare, dove la world music si fonde con il dj-set, dove la classica incontra il nu-jazz, dove quindi le varie musiche “locali”, i vari “dialetti” musicali si fondono per dare vita di fatto ad una musica del tutto nuova e particolare, in un incontro tra paradiso della musica colta e inferno della musica popolare, dove dalla contrapposizione e dalla mescolanza nascono suoni nuovi.

In tutto questo si sente anche la natura del percorso musicale di Vito Ranucci, compositore, arrangiatore e sassofonista napoletano, molto attivo nel mondo delle colonne sonore per il cinema ed il teatro, un percorso musicale che lo ha portato a spaziare e a collaborare con artisti di grandissimo spessore come Mario Monicelli, Giorgio Albertazzi e Peppe Barra.

Nel suo nuovo lavoro Vito Ranucci (che si avvale della collaborazione di ben 17 musicisti; Mbarka Ben Taleb, Federica Mazzocchi, Alan Wurzburger, Annalisa Madonna, Antonio Imparato, Fabio Fiorillo, Marta Carbone, Gigi Borgogno, Gianni Mantice, Arcangelo Caso, Gennaro Venditto, Davide Costagliola, Sergio Di Natale, Gabriele Borrelli, Gianluca Palmieri, Toni Miele, Zì Antonio l’Uvaiuolo) esplora il mondo della contaminazione come mai aveva fatto finora, come dimostra già dalle prime battute, con la canzone di introduzione “Dans le regard“, una canzone jazz-club con una profonda base elettronica e con una voce femminile affascinante che si mescola con voci tribali.

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Vito Ranucci Ensemble - "Dialects" - Artwork

Con la canzone dopo, “Poison“, siamo trasportati in un mondo quasi fatato, in chiave quasi onirica, colti ad ascoltare una sorta di filastrocca moderna. Ma basta un attimo per risvegliarsi dai sogni ed essere catapultati nella reale diversità del “World Trade Center“, luogo dove si incontrano e scontrano realtà ben diverse tra loro, in una chiave di lettura quasi angosciante, riprendendo il filo elettronico che partiva dal primo brano.

Un filo elettronico che viene raccolto per caso da “Carmela” (pezzo originariamente di Sergio Bruni), riletta in maniera magistrale, un filo che sa di dolore e di attesa, un filo colorato del rosso della passione e del sangue, colorato dal nero del dolore e della disperazione. La stessa disperazione di chi si trova a vivere nella “Terra di lavoro“, in quel sud di tutti i giorni in attesa eternamente di qualcosa, come testimoniano i suoni scelti per il brano, uno dei migliori del disco per il suo jazz semplice e pieno di pathos. Una terra di lavoro che si trova spesso in un territorio di “Impunity“, di mancanza delle regole, dove ogni voce, ogni strumento cerca di sopravvivere a discapito dell’altro, seguendo il canovaccio della base musicale come fosse la vita stessa.

Ma la vita sa regalare anche momenti di amore e di tenerezza, amore che è bello vivere in riva al mare, cullati dalle “Onde” del tempo e del sentimento. E se è vero che l’amore è sacro, allora bisogna celebrarlo con in modo degno, magari con una “Choral” presa da un maestro come Bach e dalla sua “La Passione secondo Matteo”, anche cantando in lingua araba, per dimostrare che in fondo il Dio che si prega non è così tanto differente per tutti, un modo per abbattere l’integralismo religioso e la diversità imposta.

Dopo un viaggio del genere è normale essere stanchi… ed allora ci si lascia cullare dalla “Lullaby per Camilla“, un brano semplice e complesso, come può solo esserlo l’amore di una madre nei confronti della propria figlia. Un amore che Vito Ranucci mette a piene mani nell’ultimo brano del disco, “Napoli Hard“, una rilettura in stile “down-beat” della canzone “Lo Guarracino“, canto storico del 1700 napoletano.

Un filo elettronico che parte dalla musica e torna alla musica, torna a quella Napoli spesso additata come calderone musicale e patria e fucina di idee e musica, perchè a Napoli “filosofia e poesia, basta un’idea, e Napoli distrugge e crea“. Un ottimo lavoro che conferma la natura ormai internazionale di Vito Ranucci e la bontà del suo percorso musicale.

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