All’anagrafe sono Giorgio Strada, Daniele Pacazocchi e Lorenzo Giustozzi, insieme formano i 60 Frame, trio nato nella provincia di Ascoli Piceno che ha appena pubblicato “L’astronauta”, singolo d’esordio. Con uno stile che intreccia rock e hip hop ed i piedi ben piantati nella società attuale, di cui denunciano i lati negativi, ma con una speranza verso il futuro mai perduta, questi tre ragazzi si stanno ritagliando un posto nel panorama della musica italiana con fatica e determinazione. Esordio attraverso “Music On The Road”, poi tra i 60 finalisti di Sanremo Giovani del 2012, terzi classificati al Festival di Castrocaro dello scorso anno, i 60 Frame sono adesso parte del progetto Area Sanremo, con un occhio puntato all’Ariston e la precisa di intenzione di mantenersi sempre fedeli a loro stessi. Li abbiamo contattati ed abbiamo analizzato con loro l’attuale situazione musicale del nostro Paese a 360 gradi. Ecco cosa ci hanno raccontato.
In “L’Astronauta”, vostro nuovo singolo, affrontate l’attuale situazione dell’Italia, che sembra trasformarsi sempre più in un Paese che ha poco da offrire ai propri cittadini, soprattutto più giovani. Come si può uscire da tutto questo?
In questa situazione dobbiamo restare tutti uniti. Dobbiamo mettere da parte l’individualismo, il menefreghismo e il qualunquismo. Dobbiamo creare un coro perché una voce in mezzo a tutto il caos che stiamo vivendo non basta. Se c’è da mordere, dobbiamo mordere tutti insieme. Siamo tutti esseri umani ed è assurdo che ci facciamo la guerra tra noi, come è assurdo che chi comanda se ne freghi di quello che sta succedendo. Si possono davvero cambiare le cose, ma dobbiamo prima mettere ordine le cose in noi stessi.
In questo brano affrontate anche la tematica della fuga all’estero dei giovani italiani: il protagonista è, infatti, un bambino che sogna di diventare un astronauta, così da potersene andare su di un altro pianeta, lontano dal proprio. Molti vostri coetanei puntano, anche nell’ambito della musica, all’estero, consapevoli della fatica ancor maggiore che dovrebbero affrontare qua. Voi siete dimostrazione di come ci si possa ritagliare uno spazio pur rimanendo in Italia, qual è la giusta chiave per riuscirci?
Nessuno sa in realtà come andranno a finire le cose. Lo sbaglio più grande che può fare un artista è cercare di adeguarsi all’andamento del mercato discografico, perché facendo così rischia di non essere se stesso. La prima cosa in cui crediamo in assoluto è quella di essere noi stessi perché solo così possiamo essere credibili; se sei credibile piaci al pubblico perché automaticamente lo rappresenti. La cosa più importante e bella da fare è creare qualcosa che ti piace davvero, solo in questo modo riesci a trasmetterla. Rischiate! Sempre! Come diceva Steve Jobs: Siate affamati, siate folli!
I 60 Frame nascono come una sperimentazione tra generi e stili, proponete un suono personale che va oltre le barriere date da rigide definizioni. Rock ed hip hop si mescolano ed intrecciano. Cos’è che vi spinge verso questa ricerca? E più, in particolare, qual è il vostro obiettivo?
Crediamo fermamente che la musica non è finita e che c’è sempre qualcosa da inventare. Il silenzio non esiste ed è scientificamente provato. Il nostro obiettivo è proprio quello di dimostrare che la musica non gira tutta intorno ad un solo genere, ma che da una piccola idea si possono fare grandi cose e noi vogliamo fare grandi cose. Quando sperimentiamo siamo consapevoli che quello che stiamo facendo appartiene solo a noi poi se piace è segno buono, se non piace va bene lo stesso perché comunque è farina del nostro sacco. L’importante è farsi ascoltare, ricevere pareri, essere criticati o elogiati, far parlare di sé. Tutto ciò fa di qualsiasi artista un artista vero.
Il vostro esordio al grande pubblico è avvenuto grazie al programma “Music on the Road” di Match Music. Dopo anni di quasi totale relegazione in specifici canali di settore, negli ultimi tempi si stanno moltiplicando le trasmissioni a carattere musicale. Voi che ne avete avuta esperienza diretta, come vedete il rapporto musica-tv?
Ormai la TV è diventata un componente vero e proprio di una famiglia. Questa scatola magica ti dà grande visibilità. L’unica cosa che secondo noi va fatta è: più musica e meno show. I talenti veri sono fuori. Una volta se eri bravo andavi in tv, oggi se sei in tv sei bravo.
Negli ultimi anni avete ottenuto consensi crescenti da parte non solo della critica, ma anche del pubblico: tra i finalisti di Sanremo 2012 prima, terzi all’ultimo Festival di Castrocaro. Adesso siete parte del progetto Area Sanremo, l’immagine dell’Ariston è sempre più nitida. Cosa pensate che possa offrirvi una manifestazione come questa?
Sanremo è un gran trampolino di lancio e va preso come tale. È vero che dà prestigio, che dà fama, ma va preso con cautela perché se salti troppo in alto rischi di schiantarti quando cadi. Noi puntiamo a questo scenario ma cerchiamo di farlo passo dopo passo con tanta buona volontà e sempre coi piedi ben saldati a terra. Inoltre il festival può dare una speranza che anche un genere come il nostro può essere apprezzato da tutti, cosa di cui noi siamo fermamente convinti.
Tre ragazzi giovani con background molto diversi tra loro, uniti da un’unica grande passione e dalla voglia di uscire dagli schemi. Ma i 60 Frame chi sono, sono realmente questo?
I 60 Frame sono questo, sono esattamente quello che voi vedete. Siamo veri e sinceri, senza pregiudizi né paraocchi. Non siamo costruiti in nessun modo, tutto ciò che facciamo è spinto dalla nostra volontà e dal nostro gusto personale e miracolosamente andiamo sempre d’accordo. Siamo sperimentatori di natura.