Sono passati 28 anni. Eppure l’autore di questi testi, pioniere di una corrente di pensiero che batte legge ancora oggi, sembra avere 10 anni in meno, rispetto quelli dichiarati all’anagrafe. Bruce Springsteen, New Jersey, classe 1949, è partito di nuovo quest’anno per un tour mondiale facendo scatenare arene e stadi con il suo nuovo lavoro “Wrecking Ball“, uscito lo scorso 6 Marzo 2012. E con questo siamo a quota 17 album ufficiali, escludendo le raccolte e i live. E tra pochi giorni farà tappa in Italia, in occasione di tre concerti: Stadio Artemio Franchi di Firenze – 10 Giugno, Stadio Nereo Rocco di Trietste – 11 Giugno, Stadio Giuseppe Meazza di Milano – 7 Giugno; anche la scelta di inserire lo stadio San Siro non è stata lasciata al caso dato che il 21 Giugno 1985 The Boss (appellativo che Bruce Springsteen si è guadagnato negli anni) tenne il suo primo concerto alla scala del calcio, in occasione del tour “Born in The Usa” tratto dall’omonimo album, pubblicato un anno prima.
Tralasciamo (se possibile) coincidenze, date e quant’altro e concetriamoci sulla carriera di Bruce Springsteen. E cerchiamo – se ci riesce – di inquadrarla nel contesto che ci appartiene, o attuale. Nato e cresciuto in America, in quell’America dove stavano per esplodere fenomeni come Chuck Berry (1955) da un lato e Elvis Presley (1956) dall’altro. Country, rhythm’n’blues, rock’n’roll, rockabilly: i “negri d’America” cominciano a farsi “notare” nel mondo dei bianchi e i “bianchi d’America” prendono in prestito il modo di fare musica dei neri. E tutto ha inizio. I messaggeri, sciamani, guru (…o come li vogliamo chiamare) inventano un nuovo modo di fare musica, unendo la forza del messaggio alla potenza della musica ed attirando a sé sempre una più ampia fetta di pubblico, mentre ancora però l’America è serragliata da un illegittimo quanto meschino razzismo.
E tutto questo mentre la musica non faceva già più differenze! Il binomio perfetto è America ed Inghilterra, cantautori e major discografiche, Beatles e Rolling Stones, Doors ed hippies, sogno americano a Bruce Springsteen. E’ stato proprio lui il collante perfetto in tutto questo scenario che gradualmente andava mutando, per arrivare così ai giorni nostri.
I primi due album “Greetings from Asbury Park, NJ” (1973) e “The Wild, the Innocente and the E Street Shuffle” (1973) permisero a Bruce Springsteen di farsi conoscere principalmente all’interno della contea del New Jersey, ma una prima svolta avvenne nel 1975 quando con l’aiuto di Jimmy Iovine (produttore discografico, all’epoca tecnico del suono – ndr) allora poco più che ventenne e Jon Landau (produttore e manager discografico) pubblicò “Born to Run”.
Quello fu l’album che senza dubbio alcuno sancì la nascita dello stile Springsteen, che ancora oggi possiamo apprezzare. Nel frattempo il giovane Bruce riesce a creare un’alchimia dal palco con il pubblico, e i suoi concerti cominciano a destare effetto, tanto da chiamare a sé il pubblico curioso per i racconti di coloro che ne avevano già preso parte.
L’album “The Darkness on the Edge of Town” (1978) gli valse il disco di platino, il primo disco di platino, tuttavia il ciclone Springsteen si face conoscere su scala mondiale con l’album “The River” (1980), a detta di alcuni fan anche migliore del più commericiale “Born in The Usa” pubblicato 4 anni più tardi.
Tuttavia Springsteen non era ancora arrivato a centrare la Top Ten americana. Nel 1982 arriva “Nebraska” (cui nel 1991 Sean Penn produsse “The Indian Runner” ispirandosi proprio a “The Highway Patrolman”, canzone inserita nella tracklist dell’album) ma il successo arriva nel 1984: il 4 Giugno Bruce Springsteen pubblica in America “Born in the U.S.A.”.
Questo album arriverà al numero uno delle classifiche vendita in tutto il mondo, varrà 7 singoli da top ten e venderà più di 15 milioni di copie nel mondo. I contenuti sono piccanti ma concisi, allegri ma con evidente spirito di protesta. Gli anni del sogno americano sono minati da questo giovane ragazzo che crede fortemente al sogno…ma invita tutti a non lasciarsi imbavagliare dallo stesso. Profezia che oggi si è avverata, tema centrale del nuovo lavoro “Wrecking Ball”.
Ed è proprio qui la forza comunicativa di Brcuce Springsteen: è un collante perfetto tra il popolo e la classe dirigente americana , un ponte tra sogno e realtà, ancora carico di speranze ma un po’ disilluso per le sorti imposte “dai piani alti” ed accettate senza protesta dal “popolo”. E ancora una volta centra in pieno la causa che ha portato alle conseguenze che viviamo oggi, comunicandola tramite i suoi lavori. Dicevamo di “Born in the USA”: 7 singoli nella top ten di Billiboard, inserito nel 2004 dalla rivista Rolling Stone tra i migliori 500 album di tutti i tempi, è il primo e più palese segno di protesta che si registra in quegli anni, portavoce della classe operaia.
Nel frattempo si organizza il tour: la prima volta in Italia – Milano Stadio Giuseppe Meazza 21 Giugno 1985. Più di 70mila persone accolgono Bruce Springsteen, che nel frattempo viene investito del nome The Boss grazie ai canoni del suo ultimo lavoro pubblicato, recepito dal pubblico come inno patriottico più che inno di protesta al sogno americano. A Milano Springsteen tornerà ancora nel 2003 e nel 2008, e ancora il prossimo 7 Giugno dove (chi ha assistito già ad un concerto del tour ” Wrecking Ball”) giura che l’Apocalisse sta per abbattersi su San Siro. Apocalisse o meno, è sicuro che rocker di tale impatto oggi si contano sulle dita delle mani, cioè quelli che hanno qualcosa da comunicare – una speranza di riaccendere, mentre la musica continua a rotolare nell’oblio in preda alle palesi smanie di profitto dei dirgenti delle major discografiche.
Chissà forse oggi c’è bisogno di un nuovo Springsteen, o forse dopo questo tornado può davvero avere fine il mondo. L’importante è che ci sia stato almeno qualcuno che ha cercato di dare prospettive diverse, soprattutto se è la musica a far da padrona. Perchè quando si presentano questi eventi qui, tutto il resto fa solo rumore.