Siamo appena alle porte del 2017 e mi sono voltato un attimo indietro (anche se sarebbe meglio dire un poco più di un attimo) e da autentico nostalgico quale sono, sono andato a cercare quali fossero gli album che quest’anno compiono 20 anni (e che quindi ascoltavo quando appena maggiorenne) trovando delle autentiche chicche che hanno fatto scendere più di una lacrimuccia.
Partiamo con questo revival e cominciamo con “Homework” dei Daft Punk, disco che conteneva al suo interno canzoni diventate epitomi della dance come “Da Funk” o la storica “Around The World”, e proseguiamo con “Blur“, il disco della svolta per la band di Damon Albarn che da allora prese strade diverse dal britpop andando in territori finora inesplorati con “Song 2”, “On Your Own” e “Death of a party”. Stessa sorte fu seguita anche dai Supergrass con il loro “In It For The Money” che grazie a canzoni come “Going Out”, “Richard III” e “Sun Hits The Sky” mostrava come la band inglese non fosse solo stupido britpop ma che ci fosse ben altro alla base. Menzione anche per il disco di Finlay Quaye “Maverick A Strike” trainato dalla stupenda “Even After All”.
Subito dopo troviamo il disco di esordio dei Pavement, “Brighten The Corners“, e il bellissimo disco di Nick Cave “The Boatman’s Call“, con la struggente “(Are You) The One That I’ve Been Waiting For?”. Una delle uscite discografiche più clamorose di quell’anno fu sicuramente anche il disco del rapper Notorious BIG “Life After Death” (quasi profetico, visto la fine che ha fatto), con al suo interno alcuni successi come “Hypnotize”, “Mo Money Mo Problems” e “Sky’s The Limit”. Sempre sul genere del rap troviamo il disco dei Wu Tang Clan “Wu Tang Forever” con brani storici per la collettivo hardcore rap newyorkese come “Triumph”, “It’s Yourz” e “Reunited”.
Il 1997 fu un grandissimo disco per la musica elettronica: lo dimostrano l’album dei Chemical Brothers “Dig Your Own Hole” (con pezzi come “Block Rocking Beats” e “Elektrobank”), quello dei Prodigy “Fat Of The Land” (con assoluti tormentoni come “Firestarter”, “Breathe” e “Smack My Bitch Up”), il disco di Roni Size and Reprazent “New Forms” (con canzoni magnifiche come “Brown Paper Bag” e “Heroes”) e l’omonimo esordio dei Bentley Rhythm Ace. Un passo più in lò troviamo “Homogenic” di Bjork, disco da cui furono estratte ben cinque canzoni (“Jóga”, “Bachelorette”, “Hunter”, “Alarm Call” e “All Is Full Of Love”) e che mostrò tutto il talento musicale dello scricciolo islandese.
Fu un grande anno anche per il rock: lo dimostrano uscite come “Colour and Shape” dei Foo Fighters (“Monkey Wrench”, “Everlong”, “My Hero”, “Walking After You”), “OK Computer” dei Radiohead (“Paranoid Android”, “Karma Police”, “Lucky”, “No Surprises”) “Vanishing Point” dei Primal Scream (con la bellissima “Kowalski”), “Word Gets Around” degli Stereophonics (“Looks Like Chaplin”, “Local Boy in the Photograph”, “More Life in a Tramps Vest”) e “Ladies And Gentlemen” degli Spiritualized (“Electricity”, “I Think I’m in Love”, “Come Together”, “The Abbey Road EP”).
Chiudiamo questa carrellata con due dischi che quell’anno hanno fatto la storia del pop. Il primo è “Be here now” degli Oasis che non credo abbia bisogno di presentazioni: il terzo disco della band dei fratelli Gallagher portò la loro popolarità a livello mondiale grazie a pezzi come “D’You Know What I Mean?”, “Stand By Me” e “All Around The World”. Il secondo è “Urban Hymns” dei The Verve, disco che fece conoscere al mondo intero il genio di Richard Ashcroft e che ci regalò perle come “Bittersweet Symphony”, “The Drugs Don’t Work”, “Lucky Man” e “Sonnet”. Due dischi che hanno disegnato nuove coordinate per la musica pop per tutti gli anni che seguirono.